La grazia discreta del martirio

Questa formula era molto amata da Christian de Chergè, il superiore della comunità monastica che viveva da decenni a Tibhirine
. EPA/STRINGER

L’8 dicembre, presso Notre Dame de la Croix ad Orano, si è celebrata la beatificazione dei 19 martiri della Chiesa algerina, a cui ho avuto la grazia di partecipare.

Una Chiesa composta da piccole comunità di religiosi, che cercava di vivere, fino alla fine, nella povertà e nella debolezza, nel servizio e nella missione. Una Chiesa piccola e debole anche nei numeri. Vale per questa Chiesa ciò che dice Paolo: ”E’ quando sono debole che sono forte”. Il padre bianco Christian de Chergè usa la formula analoga della “missione nella debolezza”.

Mentre il popolo algerino vive il tempo della tormenta per oltre dieci anni, in questo tempo ha fatto tutto, possibile e impossibile, perché la vita fosse più forte della morte, nella fatica e quotidianità dei giorni, in un servizio a questo popolo, che ha custodito la tradizione di Agostino e di Charles de Foucauld.

Questa piccola Chiesa, per un dono di grazia, aveva capito che il punto a cui era chiamata non stava in una strategia politica, ma nel condividere progressivamente la sorte di un popolo, fatto a pezzi. Non la politica, ma un Vangelo a mani nude. Mentre gruppi religiosi e politici scelgono la via di una diplomazia senza futuro, fatta di astuzie e mediazioni improprie, la Chiesa viveva il mistero della sua povertà.

Ricordo il primo viaggio ad Algeri e l’incontro con questo vescovo straordinario, mons. Henri Teissier, che ci portò a cena in un ristorante algerino. Voleva indicarmi il coraggio e la dignità del popolo algerino, che non si nascondeva, non si arrendeva e non arretrava, ma ogni giorno trovava parole e gesti di pace, che univano la Chiesa algerina e il suo popolo, a cui era stata donata.

Ricordo le parole di mons. Teissier sul sacramento dell’incontro: che porta a condividere il patire dell’intero popolo, oggetto di una violenza non riducibile ai numeri, che è capace di toccare con la pietà quello che era nient’altro che il frutto di un terrore senza misura.

Una Chiesa che in questo contesto pone il tema del perdono e della riconciliazione. Dirà il priore: ”Disarma me e disarma loro”. E poi nel suo testamento la parola unica e piena del perdono, nel punto in cui la croce si presenta come una parola unica e forte nel raccontare la storia dei discepoli.

Si è parlato della questione delicata dell’operare “in odio alla fede”. In realtà, per quello che conosciamo, non c’è nessun odio alla fede. L’odio non è mai un sentimento degno del discepolo. Gesù non odia neanche nel punto supremo della sua morte, ma perdona, come racconta sempre nel testamento.

L’odio appartiene alla mondanità e i suoi effetti sono i figli della logica del mondo; il linguaggio dell’odio non appartiene ai figli della pace, ma a quelli che fanno della guerra la forza violenta della mondanità.

Il Papa scrive alla Chiesa algerina: «La Chiesa in Algeria celebra nella gioia la beatificazione di diciannove religiosi e religiose martiri. Mi unisco alla vostra azione di grazie per queste vite interamente donate per amore di Dio, del paese e di tutti i suoi abitanti di cui condividete l’umile vita quotidiana in uno spirito di fraternità, di amicizia, di servizio».

Il papa conferma in questo modo il suo sostegno a questa Chiesa, che vive nel mondo musulmano e condivide le sue gioie e i suoi dolori, le sue contraddizioni e le sue pene.

Dalle dottrine che alzano i muri, dai principi che imprigionano, si arriva all’ecumenismo del sangue. Papa Francesco ricorda il presidente algerino Bouteflika e lo ringrazia per avere permesso e facilitato questa celebrazione, ma insiste ancora sul punto: «Voglio quindi esprimere tutto il mio affetto al popolo algerino che ha conosciuto grandi sofferenze durante la crisi sociale di cui è stato vittima negli ultimi anni dello scorso secolo». Vittime del popolo, vittime del Vangelo, vittime del popolo musulmano. Le vittime come vera e autentica parola di Dio.

A fondamento di tutto questo sta la memoria di Agostino: «La Chiesa cattolica in Algeria sa di essere l’erede, con tutta la nazione algerina, del grande messaggio d’amore proposto da uno dei numerosi maestri spirituali della vostra terra, sant’Agostino d’Ippona. Essa desidera servire quello stesso messaggio, in questi tempi in cui i popoli cercano di far progredire la loro aspirazione a “vivere insieme nella pace».

C’è come un martirio da condividere insieme. «Facendo memoria della morte in Algeria di queste diciannove vittime cristiane, i cattolici dell’Algeria e del mondo vogliono celebrare la fedeltà di questi martiri al progetto di Pace che Dio ispira a tutti gli uomini».

Colpisce il linguaggio vittimale applicato allo stesso modo ai cristiani e ai musulmani, al disegno di pace che li unisce. Papa Francesco comprende che bisogna accogliere nella loro preghiera tutti i loro figli, che sono stati vittima dell’unica violenza, per aver vissuto, con fedeltà e rispetto dell’altro, i loro doveri di credenti e di cittadini in questa terra benedetta.

Le ferite del passato sono superate perché condivise nella comunione, che abbraccia tutti e non esclude nessuno, in un mistero di unità che tutti hanno vissuto e non dimenticato.

L’8 dicembre questo è stato vissuto a Orano, in una grande preghiera con cristiani e musulmani, tutti sulla stessa strada. Una conclusione viene dalla Madonna. Ci illumina nella luce della Madonna della croce, della Madonna dell’Atlante, della Madonna dell’Africa.

Maria unisce cristiani e musulmani, non in conflitto, ma in una unità spirituale che Dio ha donato alla preghiera tra di loro.

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