La grandezza di Giovanni Paolo II

Il “fenomeno Wojtyla” ha lasciato un segno profondo nella storia della Chiesa e dell’umanità. Nell'anniversario dei 100 anni anni dalla nascita di Giovanni Paolo II, anticipiamo l'articolo che uscirà nel numero di giugno 2020 della rivista Città Nuova
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A parte l’antichità e il Medioevo (Alessandro Magno e Carlo Magno), nella storia solo due papi, Leone I (440-61) e Gregorio I (590-604), si sono meritati il titolo di Magni, Grandi. San Giovanni Paolo II Magno – al secolo Karol Wojtyla, polacco di Wadowice (Cracovia) –, di cui ricorre quest’anno il primo centenario della nascita (1920), è il terzo pontefice romano a guadagnarsi quest’onore, insieme alla gloria degli altari e all’ammirazione del mondo.

Durante il suo pontificato, tra i più lunghi della storia (27 anni, 1978-2005, secondo solo a quello di Pio IX, 32 anni, 1846-78), il papa polacco si è mosso ben più di tutti i predecessori. Le cifre impressionano: 104 viaggi apostolici nei 5 continenti e 463 visite pastorali in tutt’Italia e a Roma, nelle oltre 300 parrocchie della sua diocesi.

Incredibile pure la mole dei documenti prodotti: 14 encicliche e 71 tra esortazioni, costituzioni e lettere apostoliche. A queste si aggiungono 5 libri, tradotti ovunque, che sono saggi, come l’ultimo, Memoria e identità (2005), o interviste, rese a Vittorio Messori e altri.

Ma dove Wojtyla ha superato tutti i papi precedenti messi assieme, è stato nel promuovere eroi dello spirito agli altari, proclamando 1338 nuovi beati e 482 santi, inclusi diversi laici sposati come Zelia e Louis Martin, i genitori di Teresa di Lisieux, o Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, lui amico di Sturzo e De Gasperi, lei pedagogista e pioniera dell’associazionismo cattolico. Insomma, è stato il papa dei primati. Tra questi anche aver celebrato la messa più seguita di sempre, a Manila, il 15 gennaio 1995, davanti a 7 milioni di fedeli!

Eppure adesso – a 15 anni dai suoi funerali seguiti da 2 milioni e mezzo di persone a S. Pietro e sui maxischermi sparsi per Roma, durante i quali per la prima volta si gridò: «Santo subito!» –, questa enorme, storica figura appare un po’ dimenticata, o rimossa.

Da un lato la colpa è dei tempi, pieni di tante cose, eventi, personaggi, guerre, altri due papi, ora anche la pandemia, che consumano, e poi dimenticano, un po’ tutto, all’insegna di velocità-urgenza-superficialità, i tre mali di oggi. Ma c’è un secondo motivo. Fin dall’elezione, a papa Wojtyla non sono mancati oppositori, scontenti e scettici, contrari alla fine del monopolio italiano del papato (Giovanni Paolo II è stato il primo pontefice straniero dopo 455 anni), critici dei “troppi” viaggi del 263esimo successore di Pietro e allarmati dal suo piglio riformatore.

Dall’altro lato, i progressisti a oltranza hanno contestato questo papa “da sinistra”, accusandolo di conservatorismo e spirito restauratore, specie su ruolo della donna, sessualità, controllo delle nascite, gay, celibato, sacerdozio femminile e altri temi caldi per i quali, è vero, in linea di massima Giovanni Paolo II ha ribadito la posizione tradizionale della Chiesa.

I due schieramenti, estremizzando e coalizzandosi durante e dopo il suo pontificato, hanno provato a cancellare, rimuovere o almeno “smitizzare” e sminuire la statura e la memoria del papa polacco. Ma non è facile farlo. Le dimensioni del “fenomeno Wojtyla”, come lo si chiamò allora, a prova della stupita ammirazione dei contemporanei, sono state qualcosa d’immenso e di poli-direzionale, come testimoniato dai media che seguivano ogni giorno il suo ministero universale.

Giovanni Paolo II (AP Photo/Jockel Finck)
Giovanni Paolo II (AP Photo/Jockel Finck)

Ma vediamo quali sono i fattori principali di questa grandezza, spirituale quanto storica. Anzitutto si deve al papa polacco – al suo amor di patria, ai suoi viaggi in Polonia, alla sua predicazione per l’uomo e la libertà, al suo sostegno morale e concreto a Solidarnosc, primo sindacato libero d’oltre cortina –, se il comunismo crollò, prima a Varsavia e via via in tutto l’“impero del male”, com’è stato chiamato.

Il papa, contrario sia al comunismo che all’Occidente capitalista e iperliberista, forse puntava a un obiettivo più “modesto”: la difesa della libertà religiosa nelle società marxiste. Ma poiché le varie libertà sono un unicum, lottare (e vincere) per una sola di esse porta naturalmente alla rinascita di tutte. Perciò quella del comunismo fu una morte naturale, pacifica, ma era stato Wojtyla a farne esplodere le contraddizioni e affrettarne il decesso.

Un’altra voce attiva nel bilancio del papa fu l’accelerazione del dialogo e del riavvicinamento fra cattolici ed ebrei, che definì «i nostri fratelli maggiori». Anche qui agì a modo suo, con slancio e cuore, visitando da pontefice per la prima volta nella storia la sinagoga di Roma (3 aprile 1986), andando a pregare presso il Muro del Pianto di Gerusalemme (26 marzo 2000) e diventando grande amico del rabbino di Roma Elio Toaff. Dopo di che impresse una svolta quasi rivoluzionaria, di grande risonanza mondiale, alla conoscenza e allo scambio interreligioso, inaugurando ad Assisi (27 ottobre 1986) gli incontri di preghiera comune per la pace fra gli esponenti delle grandi religioni.

L’ecumenismo con Wojtyla fece progressi non tanto con i fratelli separati (qui lui insistette sul primato petrino), ma piuttosto con gli ortodossi, specie dopo l’incontro con il capo della Chiesa greca (4 maggio 2001). Dopo che Cristodoulos gli ebbe ricordato “13 torti” di Roma verso la Chiesa di Costantinopoli, incluso il sacco crociato della città (1204), Giovanni Paolo II gli chiese pubblicamente perdono, cancellando d’amblée buona parte della divisione che c’era stata fino a quel momento fra le due Chiese. Un papa conservatore non si comporta così.

Prima di allora egli aveva pronunciato altri dei suoi famosi “mea culpa”, per Galileo ad esempio, o per lo schiavismo, scandalizzando i benpensanti ed entusiasmando i giovani, il cui consenso fervido e vivace fu uno dei tratti distintivi del suo pontificato.

L’avvio nel 1985 delle Giornate Mondiali della Gioventù, e la popolarità dei papa boys e della “generazione Wojtyla” testimoniano la sintonia del papa con la cultura giovanile. In fondo era rimasto il padre Karol dell’«apostolato dell’escursione», come lo chiamava lui, quando a Cracovia faceva campeggio con i giovani.

Fu uno di loro, intendo un ragazzo, a sparargli: Alì Agca aveva 23 anni nel 1981. Se avesse guardato negli occhi chi stava per uccidere, come fece il 27 dicembre ’83 quando s’incontrarono nel carcere di Rebibbia, forse non avrebbe premuto il grilletto. Ma non si diventa santi solo con le encicliche e le papamobili.

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