La grande opera che resta da fare per mettere in sicurezza l’Italia

L’intero Paese è ad alto rischio sismico, ribadiscono i geologi, ma siamo all’avanguardia nelle tecniche edilizie di sicurezza. Per limitare il numero delle vittime occorre una scelta politica forte e convinta. Come quella di chi corre in aiuto
Casa crollata ad Amatrice foto di Sara Fornaro

Dal cuore della zona colpita dal terremoto Luigino Bruni ha scritto per Città Nuova una pagina sapienziale antica e primordiale come la paura per la nostra evidente fragilità. Le domande sul senso del dolore innocente restano aperte. Gli immediati proclami di ricostruzione sembrano un modo per rimuovere l’unicità delle troppe vite spezzate, lo splendore dell’esistenza che contrasta con la rigidità dei corpi raccolti con rispetto e dignità da soccorritori competenti e generosi, che sono l’espressione più alta e genuina della politica, come ha detto Michele Zanzucchi. Quella del “noi”, di chi, senza teorie e in silenzio, sa prendersi cura dell’altro. Ma compiremmo uno sbaglio nel separare questo impegno diffuso e partecipe, che muove anche moltissimi nella raccolta di sangue e di aiuti, dalla necessità di investire in sicurezza in un Paese che è e resta esposto al pericolo.

 

«L’Italia intera – come è noto – è ad alto rischio, proprio perché è un Paese geologicamente giovane e di frontiera» come recita il comunicato stampa del 24 agosto emesso dal Consiglio nazionale dei geologi. Sono almeno 24 milioni le persone che vivono in zone ad elevato rischio sismico. «La zona dell’Italia centrale colpita è riconosciuta come ad alto rischio sismico, del resto come la quasi totalità della catena appenninica da Nord a Sud».

 

Non si tratta di gettare la popolazione nel panico, ma di far crescere la consapevolezza di un intervento possibile e urgente che va finanziato pubblicamente come una grande opera ancora da compiere. I geologi italiani, come ha ricordato il presidente del loro consiglio nazionale, Gianfranco Peduto, propongono l’obbligatorietà del fascicolo del fabbricato con una classificazione sismica degli edifici. 

 

Il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, Armando Zambrano, entra nei particolari: «Nel nostro Paese è necessaria un’intensa azione di verifica della sicurezza delle costruzioni. Questa è facilmente realizzabile, tanto più se si considera che noi in Italia abbiamo maturato la tradizione della conservazione. Università, professionisti e mondo scientifico hanno elaborato negli anni tutta una serie di tecniche che possono rendere tutti gli edifici sicuri. Non c’è fabbricato che non possa essere migliorato da un punto di vista sismico. Da anni studiamo queste problematiche, siamo all’avanguardia nel mondo e oggi siamo in grado di risolverle anche a costi tutto sommato accettabili».

 

Sono affermazioni pesanti davanti allo scenario dei luoghi, descritto dagli inviati di Città Nuova che appaiono “come dopo un bombardamento”. Ma servono i soldi, si dice. Evidentemente vanno trovati, anche perché proprio gli investimenti pubblici sono necessari per far decollare l’economia, come pare sia sempre più evidente dalle analisi sull’andamento del Pil italiano. Proprio su questo punto Zambrano non usa giri di parole per dire che «abbiamo qualche difficoltà a far capire ai nostri partner europei l’importanza dell’aspetto sismico. Non a caso a Bruxelles si dà più peso al tema del risparmio energetico che non alla messa in sicurezza degli edifici. Ciò accade perché il problema è percepito come marginale, dal momento che riguarda essenzialmente due Paesi del Sud Europa, noi e la Grecia. Sarebbe importante ottenere dei risultati su questo terreno perché si potrebbero dirottare preziosi fondi europei sulla riduzione del rischio sismico». Per restare all’Italia, secondo i geologi, si prevede, di media, un sisma di magnitudo superiore a 6,3 ogni 15 anni. Una statistica approssimativa se si tiene conto del recente terremoto dell’Aquila del 2009.

 

Il rischio è quello di abituarsi alla fatalità. Ai racconti tragici e alla solidarietà dei volontari, delle donazioni via sms con i milioni di euro stanziati con l’emergenza. Mentre l’esempio degli interventi effettuati a Norcia ha mostrato, con danni contenuti e assenza di morti, la possibilità di prevenire ciò che è prevedibile. Ma si tratta di opere compiute dopo i danni di un precedete sisma e invece bisogna agire prima. Come ha detto l’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Enzo Boschi, bisognava intervenire nelle zone più vulnerabili subito dopo la pubblicazione, nel 2003, della mappa del rischio sismico in Italia.

Non è tempo di polemiche, ma di capire insieme cosa fare con lo stesso slancio di chi parte nel cuore della notte per portare aiuto.

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