La grande coalizione del governo Draghi alla prova dei fatti
Il governo Draghi si è, alla fine, composto nei tempi rapidi auspicati dal presidente della Repubblica radunando un preventivo vasto consenso parlamentare dettato dalla situazione di emergenza che vive il Paese.
Presta il giuramento in Quirinale sabato 13 febbraio 2021, mentre in Italia arriva Burian, il vento gelido siberiano. Non è un esecutivo esclusivamente tecnico come lo è stato quello guidato da Mario Monti nel 2011.
Il perno centrale è, comunque, costituito dalla figura dell’ex governatore della Bce, Mario Draghi, riconosciuto come una garanzia dal cosiddetto establishment nazionale e internazionale, termine che sta a significare l’insieme dei detentori reali del potere economico e quindi politico.
Prima ancora di leggere il programma del nuovo esecutivo, chiamato a definire la redazione finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza da presentare in Commissione europea, ci si può fare una qualche idea a partire dai nomi che andranno ad occupare le caselle dei 23 ministeri.
A quello dell’Economia non poteva restare il dem Roberto Gualtieri, artefice con Conte dell’accordo che ha portato l’Ue ad assegnare all’Italia 209 miliardi di euro (tra prestiti e sussidi) per il Recovery plan. La partita più grande la deve sovraintendere lo stesso Draghi in stretto accordo con un ministro “super tecnico”, Daniele Franco, direttore della Banca d’Italia e già ragioniere generale dello Stato.
Contrariamente all’idea, che sembrava prevalente, di accorparlo a quello dell’ambiente in un nuovo dicastero della “transizione ecologica”, resta, invece, in piedi il ministero dello Sviluppo economico affidato a Giancarlo Giorgetti.
L’esponente più europeista della Lega è in buoni rapporti con i cosiddetti ceti produttivi e le realtà imprenditoriali del Nord che il partito di Salvini pretende di rappresentare stando già alla guida delle Regioni settentrionali. Dovrà gestire lo scottante dossier delle centinaia di crisi aziendali assieme al ministero del Lavoro che non sarà più guidato dalla pentastellata Nunzia Catalfo ma da Andrea Orlando, espressione di quella sinistra del Pd che perde, invece, il ministero per il Sud. Al posto di Giuseppe Provenzano, promotore di un articolato Piano per il Sud, arriva Mara Carfagna, tra gli esponenti di Forza Italia più indipendenti dalla leadership di Berlusconi che esce comunque rafforzata da questa crisi. Il suo peso parlamentare gli concede solo 3 ministri senza portafoglio (Carfagna, Renato Brunetta alla Pubblica amministrazione e Maria Stella Gelmini agli Affari regionali e autonomie) che sapranno comunque farsi notare con qualche domanda aperta sul potenziale scontro tra Brunetta e i sindacati della funzione pubblica.
Italia Viva mantiene, con Elena Bonetti, il ministero alla Famiglia e pari opportunità. Anche questo senza portafoglio, ma con una certa visibilità nell’intestarsi il cosiddetto Family act che dipende, comunque, dalle scelte di bilancio di lungo termine. Renzi, artefice di Italia Viva, ha minore incidenza percentuale in un governo di larga maggioranza ma farà valere, probabilmente con i sottosegretari o altri più prestigiosi incarichi, il suo ruolo decisivo esercitato nella transizione dal Conte 2 al governo Draghi.
Resta al ministero della Difesa Lorenzo Guerini, esponente dem degli ex renziani (corrente base riformista) in continuità con la linea di stretta fedeltà al patto Atlantico con il grande alleato Usa.
E arriva da Leonardo, grande società della Difesa controllata dallo Stato, Roberto Cingolani, quale ministro all’Ambiente, Transizione Ecologica e Recovery Plan. Un ruolo strategico, considerato la vera novità del governo, affidato a uno scienziato di livello internazionale che nella ex Finmeccanica (Leonardo, appunto), guidata dal banchiere Alessandro Profumo, ha curato, ad esempio, il progetto “Drone Contest” «in collaborazione con sei atenei italiani per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata ai sistemi senza pilota». Molto dipenderà dalla “mission” che gli sarà affidata nell’orientare le risorse del Recovery plan nei settori indicati dal Next Generation Eu.
Un ministero, quello alla Transizione ecologica, che sembrava disegnato apposta per Enrico Giovannini, cofondatore e portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, come si poteva intuire nell’intervista concessa a Città Nuova. E, invece, l’ex presidente dell’Istat, e grande esperto dell’Ocse, va a ricoprire il delicato ruolo di ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti che dovrà gestire, cioè, il capitolo delle grandi opere, a cominciare dalla questione della Tav Torino Lione che formalmente è stata l’occasione per far cadere i governi Conte 1 e Conte 2 per le resistenze persistenti tra i pentastellati.
Il M5S perde il ministero dello Sviluppo economico (Stefano Patuanelli dirottato all’Agricoltura), quello al Lavoro e quello all’Ambiente che era stato affidato a una figura esemplare come l’ex generale dei carabinieri forestali Sergio Costa. Ma all’importante dicastero degli Esteri e della Cooperazione internazionale resta Luigi Di Maio, di fatto l’esponente più in vista del partito che dovrebbe detenere la maggioranza relativa del numero degli eletti in Parlamento.
Resta da vedere se alla conta del voto di fiducia alle Camere emergerà il dissenso emerso (40%) durante il voto sulla piattaforma informatica (denominata Rousseau) di consultazione interna ai 5 Stelle. Fronda che vede, in versione extraparlamentare, lo storico rappresentante del “Movimento” Alessandro Di Battista, e nel “Palazzo” il combattivo Pino Cabras. Potrebbe essere il nocciolo di un’opposizione al governo Draghi che si aggiungerebbe a quella “patriottica” di Fratelli d’Italia.
Il partito guidato da Giorgia Meloni andrà a ricoprire alcune caselle importanti lasciate istituzionalmente, come garanzia, ai partiti di minoranza. A cominciare da quello del Copasir, il Comitato parlamentare che esercita il controllo sull’operato dei servizi segreti italiani.
Tra i ministri riconfermati dal governo Draghi troviamo Roberto Speranza alla Salute, esponente di Leu, partito di sinistra comunque diviso al suo interno e a disagio per la grande alleanza.
Il permanere di Dario Franceschini alla Cultura e Turismo conferma il ruolo di stabilità dell’esponente dem all’interno del partito guidato da Nicola Zingaretti. Ma la nascita del ministero senza portafogli al “Coordinamento turismo” affidato al leghista Massimo Garavaglia denota l’attenzione del partito di Salvini a un settore importante per il Pil del Paese ma falcidiato dagli effetti della pandemia.
Draghi affida, inoltre, alla Lega il neo ministero alla Disabilità che sarà guidato da Erika Stefani. Competenza che Giuseppe Conte aveva mantenuto all’interno della presidenza del Consiglio.
Dovrebbe costituire un fattore di stabilità e di equilibrio nello scontro aperto tra garantisti e giustizialisti, l’ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, che assume, come figura “tecnica”, la carica di ministro della Giustizia al posto del pentastellato Bonafede.
Così anche per la complessa realtà del mondo della Scuola, Università e Ricerca, arrivano due ministri “tecnici”, rispettivamente Patrizio Bianchi (già rettore università di Ferrara) e Cristina Messa (già rettrice dell’università Bicocca di Milano) che prendono il posto di Lucia Azzolina (5 Stelle) e di Gaetano Manfredi (ex presidente della conferenza dei rettori universitari).
La conferma al ministeri degli Interni della prefetta Luciana Lamorgese rappresenta, infine, un punto di svolta nelle polemiche roventi sulle politiche dell’immigrazione lanciate dal partito di Matteo Salvini che, ora, come confermato da una significativa intervista rilasciata ad Avvenire, sembra allinearsi con la linea che punta a concentrarsi sulla regolamentazione dei flussi a livello europeo. Resta comunque in una fase interlocutoria il superamento effettivo dei decreti sicurezza “Salvini” e sono vive le contestazioni, da parte delle associazioni umanitarie, della prassi dei respingimenti “informali” operati dalla polizia sul confine orientale (si veda intero capitolo sulla Rotta balcanica).
Al 5 stelle Stefano Patuanelli viene affidato il ministero dell’Agricoltura e quelli senza portafoglio ai Rapporti con il Parlamento (confermato Federico D’Incà) nonché Giovani e Sport (Fabiana Dadone, già alla Pubblica Amministrazione).
Tra questi ministri “minori” sembra, invece, assumere un ruolo strategico importante la competenza su Innovazione e Transizione Digitale all’ex grande manager Vodafone, Vittorio Colao, coordinatore di un Piano di proposte operative (il Piano Colao, appunto) che il governo di Giuseppe Conte sembrava aver accantonato e che, invece, assume una nuova importanza in collegamento, considerando l’oggetto del Recovery plan, con il super ministero alla Transizione ecologica.
Completa la squadra il ruolo chiave, come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che va a svolgere Roberto Garofoli, giurista di grande competenza ed esperienza maturata in compiti tecnici di precedenti governi.
Esistono, insomma, degli elementi significativi per valutare la fisionomia del governo Draghi e delle scelte che andrà a compiere con la risolutezza e determinazione resa possibile da una vasta maggioranza parlamentare che, comunque, dovrà misurarsi con le reazioni che arriveranno dalla società nel suo complesso.
Sarà importante, come al solito, prestare attenzione al merito delle decisioni che l’esecutivo prenderà in questa fase che resta la più grave crisi che l’Italia deve affrontare dal dopoguerra ai nostri giorni.