La Gmg è finita, viva la Gmg!

Tempo di bilanci, dopo la messa sulla spiaggia di Copacabana che ha fatto toccare la punta di tre milioni di presenti. Per un successo che va ascritto alla Chiesa brasiliana, con qualche suggerimento per il futuro

I tre milioni alla fine sono arrivati, occupando con semplicità e gioia l’intera spiaggia di Copacabana, in un festival incredibile di grida, silenzi ed emozioni. Il papa ha saputo conquistare tutti, ad uno ad uno, a cominciare dai presidenti brasiliano, argentino e boliviano, con i suoi gesti – epico il bacio dato alla piccola anencefala durante l’offertorio – e con le sue parole: «Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. È per tutti. Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore».

Andare al largo, essere missionari, tutti quanti, seguire Gesù e amare tutti e sempre per cambiare il mondo: questi i suoi temi ripetuti continuamente in questo viaggio. Come fa anche in conclusione: «Portare il Vangelo è portare la forza di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell'egoismo, dell'intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo». Più tardi, ai vescovi del Celam, ha lanciato altre provocazioni evangeliche: «I sacerdoti sono uomini che non hanno la psicologia del principe», ha detto tra l’altro. E in un’intervista alla Rete Globo, in tono scherzoso: «Ho scelto di vivere a Santa Marta per ragioni psichiatriche: non voglio vivere solo, non voglio poi dover pagare uno psichiatra!». Per concludere all’aeroporto con un'altra frase che rimarrà nel cuore di tutti i brasiliani: «Comincio a sentire saudade».

Certamente ora è tempo di bilanci. Non con spirito di critica, ovviamente, ma con spirito costruttivo. Se possono essere fatte queste considerazioni, è perché la Chiesa brasiliana ha saputo riunire e accogliere tre milioni di pellegrini. Scusate se è poco! Chi mai di questi tempi sa riunire tanta gente? Giusto la galassia indù riesce a superare la Gmg di Rio de Janeiro, con i quattro-sei milioni del Kumbh Mela sulle rive del Gange. E chi mai riesce a mettere assieme tanta gente non per fini ludici o politici, ma per un gesto di fede, per riflettere su quello che non muore, per cercare vie di pace e di giustizia?

Altro fattore positivo, la mobilitazione di tanti cattolici nell'organizzazione dell'evento: si calcolano in cinquantamila coloro che hanno in qualche modo reso possibile questa 18ª Gmg. Non c'è poi che da applaudire la vicinanza tra generazioni, apparsa uno dei punti forza della manifestazione cattolica. Analogamente ha stupito, in particolare alla cosiddetta Fiera vocazionale, il rispetto e la sincera collaborazione tra gruppi diversi, comunità e movimenti, parrocchie e diocesi. Numerosi osservatori hanno poi notato il grande e convinto coinvolgimento delle diverse Chiese sudamericane, nessuna esclusa (il baricentro della cattolicità sta allontanandosi finalmente dall'Europa), probabilmente anche a causa della "sorpresa" di un papa di queste terre, che ha preso il posto del papa tedesco, colui che aveva convocato questa festa cattolica alla quale aveva coscienza di non poter presenziare.

Appunto, papa Francesco è stato il vero mattatore della Gmg, capace di immediata sintonia con la folla di giovani, abile nell'usare un linguaggio estremamente semplice, pastorale più che teologico, capace di gesti profetici, infaticabile nel salutare tutti ed ognuno, uomo del Vangelo, proclamatore di Gesù Cristo e di null'altro, capace di sferzare i politici per una maggiore giustizia sociale e per l'ascolto degli esclusi, contro una politica e una cultura della divisione, ma anche abile nel redarguire la Chiesa stessa e i suoi responsabili, invitati fermamente ad aprire le comunità, a non trattare da chiocce i giovani, a cercare sempre la crescita di una cultura dell'incontro, a non anteporre gli interessi di parte al bene comune.

Detto questo, applaudito il risultato finale, va notato come ci siano stati alcuni elementi "di sofferenza". Come un certo gigantismo dell'organizzazione, che nonostante i mezzi dispiegati ha vissuto momenti difficili col trasferimento delle manifestazioni di sabato e domenica da un lontano terreno paludoso alla ben più accogliente e vicina spiaggia di Copacabana. Non pochi hanno poi notato un certo clericalismo – in fondo i giovani nelle manifestazioni plenaria hanno avuto poco spazio per esprimere le loro esigenze e i loro interrogativi –, clericalismo che si è manifestato soprattutto nella ideazione dei diversi eventi, affidati in massima parte a sacerdoti. Analogamente nella veglia è emersa una forte "emotività della fede" che in questi tempi sta prendendo piede in Brasile sotto la spinta delle Chiese evangeliche ed evangelicali, e che sta contagiando una Chiesa cattolica che sembra ormai lontana dalle spinte sociali della Teologia della liberazione e delle comunità di base. Tra l'altro, nessuna testimonianza nelle manifestazioni plenarie ha messo in luce quello spirito di dialogo che il papa tanto invoca: dialogo ecumenico, interreligioso e coi non credenti, con la cultura contemporanea, tra movimenti. E poi, dispiace doverlo dire, sul palco c'era quasi solo il Brasile. Le Gmg sono una manifestazione universale: a Rio erano rappresentati 178 Paesi, che non hanno avuto voce, anche se va detto che difettava la presenza europea, molto probabilmente determinata dalla crisi economica attuale.

Ma il bilancio della Gmg di Rio lo dovrebbero trarre soprattutto i giovani partecipanti, che hanno potuto vivere il loro evento in compagnia del papa, amatissimo, quasi a prescindere dai programmi previsti dall'organizzazione. Le Gmg consistono in effetti soprattutto nella mescolanza di giovani provenienti dal mondo intero, capaci di comunione e di festa, di amicizia e di preghiera, di esplosioni di gioia e di silenzi densissimi. Un giovane ecuadoregno, Alveo, col quale ho conversato a lungo all'aeroporto, sintetizzata tutto ciò in alcuni concetti ben precisi: «Siamo stanchi morti perché non abbiamo praticamente dormito per quattro giorni. Non volevamo sprecare un solo minuto a disposizione per poter conoscere i cattolici del mondo intero, per realizzare la nostra comunione planetaria. Abbiamo colto nelle parole del papa l'invito a non fare solo festa, ma a impegnarsi a fondo per cambiare questo mondo. Ma torniamo nei nostri mondi e incontreremo l'ingiustizia, l'ateismo, la secolarizzazione, quello che il papa ha definito il continente digitale… E non abbiamo gli strumenti necessari per essere missionari capaci di cambiare il mondo. Qualcuno dovrà pur insegnarcelo. Il papa ci ha dato le coordinate giuste, ora bisogna che insieme troviamo le strategie. Il Vangelo è il faro della nostra vita, ma la barchetta fragile delle nostre comunità deve rafforzarsi».

È forse questa la sfida che rimane alla Chiesa cattolica dopo la ricchissima Gmg di Rio de Janeiro.

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