La globalizzazione della fraternità
“Non più schiavi, ma fratelli” è il titolo del messaggio per la Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2015), dedicata da papa Francesco alle varie forme di schiavitù, che negano e calpestano la dignità umana. “La fraternità costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana”: essa è uno dei tre pilastri della rivoluzione francese insieme a libertà e uguaglianza. E se queste due – pur con tutte le contraddizioni teoriche e pratiche – sono entrate nel vocabolario socio-politico, la fraternità invece è stata con supponenza relegata nel mondo delle utopie per lo più religiose. Con la conseguenza che la costruzione della società è stata gravemente danneggiata e, in certi casi, è miseramente crollata.
Se Francesco ha ripreso questa parola – proclamata, spesso nel deserto, ma con forza e speranza dai suoi predecessori – è perché ne vede il valore insostituibile. E lo dimostra, denunciando le varie forme di schiavitù, che trasformano i rapporti in “asservimento dell’uomo da parte dell’uomo”.
E andando alla radice del fenomeno, che consiste in “una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come oggetto”. Di conseguenza, “la persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione fisica e psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno, viene trattata come un mezzo e non un fine”.
Francesco chiama questa – “il rifiuto dell’umanità dell’altro” – di causa ontologica. Ne presenta altre; ricordo in modo solo esemplificativo la povertà, le scarse se non inesistenti opportunità di lavoro, la corruzione, i conflitti armati, il terrorismo. Non mi diffondo su queste (e sugli attori invitati a dare il loro contributo per sconfiggere la schiavitù), nella fiducia che i lettori siano tanto intelligenti e interessati al documento del papa (si tratta della pace!) da andare a leggerselo integralmente.
Mi soffermo sulla “causa ontologica”. Qualcuno dirà che è il solito discorso teorico, che non ha incidenza nella realtà e che, in pratica, riguardo solo alcuni. “Che c’entro io con la schiavitù?”. No, è una cosa molto concreta che ci tocca da vicino. Ascoltavo oggi alla radio che ci sono più di 300mila schiavi nell’agricoltura italiana, persone sottopagate, stranieri ricattati, minacciati. Chi parlava, domandava: “Quando andiamo al mercato, ci chiediamo da dove vengono questi pomodori, questi mandarini, con che tipo di lavoro sono stati prodotti?”.
Francesco stesso commenta al riguardo nel suo documento: “Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio”. “Ma così ci rendiamo impossibile la vita!”, concluderanno molti. Ma è proprio questa indifferenza che uccide. A messa ci accusiamo – a parole – di commettere omissioni, ci battiamo il petto, ma non facciamo niente per convertirci fuori della messa. Continuiamo ad “omettere” e lo giustifichiamo. E così rifiutiamo l’umanità dell’altro.
Francesco lancia “un pressante appello” perché non ci si renda complici della schiavitù, ma di “fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un saluto, un ‘buongiorno’ o un sorriso, che non costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare vita ad una persona che vive nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà”.
I soliti critici diranno: “Tutto qui? Sono capace anch’io”. Si sono accorti che cosa intende il papa quando parla di “cambiare la nostra vita”? Vuol dire uscire di casa, non stare ore alla Tv, fermarsi a parlare con l’africano sul marciapiede, domandare al supermercato da dove viene quella frutta e verdura, controbattere a tanti discorsi qualunquisti che vengono fatti, impegnarsi in associazioni…
Francesco conclude tutto il suo discorso con un’espressione non nuova, ma di grande efficacia: “La globalizzazione dell’indifferenza (…) chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità”. È una cultura nuova, che nasce dal vangelo e dai principi delle grandi religioni, e che ci chiama ad uscire dall’individualismo che uccide l’uomo (quello che sta dentro di me e accanto a me) per prendere sul serio parole come: fraternità, famiglia umana, dignità umana, spesso ridotte a slogan vuoti, per tradurle in comportamenti quotidiani e scelte della società.
È proprio vero che la pace richiede il contributo di tutti.