La gioia d’ognuno di noi
Ho appena concluso un viaggio di lavoro in Bhutan, un piccolo Paese che pochi ricordano dove sia, nell’Himalaya, per intenderci. Dopo tanti anni si sta aprendo al mondo e sta svelando una qualità straordinaria: la gente qui è felice, o almeno sembra esserlo, anche se le condizioni di vita sono spesso difficilissime, non solo per l’impervia natura, ma anche per l’economia estremamente povera.
Quante volte in questi giorni mi sono sentito interpellato da sconosciuti sorridenti che mi chiedevano da dove venissi, se amassi il loro Paese, se avessi voglia di bere un tè con loro (anche se col burro non ve lo consiglio). Mi hanno colpito per la loro gioia anche i tanti monaci buddhisti che ho incontrato nei loro monasteri, dai sei ai cento anni: sereni e sorridenti. Nel buddhismo hanno evidentemente trovato una via di serenità.
Certo, l’impatto con consumismo e globalizzazione non sarà indolore… E noi cristiani, siamo altrettanto gioiosi? Il nostro Dio è risorto, ha trasformato la morte in vita, ha abbattuto il muro che s’interponeva tra la divinità e l’umanità, ha squarciato il velo del Tempio. No, troppo spesso non siamo gioiosi come i bhutanesi, è triste constatarlo. Forse che la nostra religione ha meno effetti positivi sulla gente della loro? Non credo proprio. Ma c’è qualcosa di “devastante”: la gioia di Gesù Cristo è una gioia particolare, che nasce dalla morte e non dalla mortificazione, che vive se cerca la gioia dell’altro più che la propria, che aumenta nella misura in cui sappiamo essere la gioia dell’altro.
Cari lettori, Buona Pasqua! In Bhutan il saggio re ha istituito per legge il calcolo del “tasso di felicità della gente”. Anche noi istituiamo questa misurazione, ma a una condizione: che non abbia misura. L’amore, vera fonte della gioia, non può infatti essere misurato. Come diceva Chiara Lubich, «nell’amore quel che vale è amare».