La gioia di Matheuz

All'Accademia Nazionale di Santa Cecilia una vibrante serata ciaikovskiana: al violino Nikolaj Znaider, dirige il giovane Diego Matheuz
Il giovane direttore Diego Matheuz

Finalmente un ventisettenne, lanciato nel mondo della musica, corrisponde alle aspettative. A differenza di altri giovani direttori, mandati allo sbaraglio con promozioni sconcertanti, Diego Matheuz, frutto del venezuelano “sistema Abreu”, è un talento sicuro. Passo svelto, personcina agile, tecnica sicura, è prima di tutto un violinista. Trovarsi quindi in una serata tutta ciaikovskiana col grande violinista svedese – anche lui direttore – Nikolaj Znaider, nel primo concerto per violino e orchestra all’Accademia Santa Cecilia in Roma, dev’essere stata una forte emozione. Visibile. Ma non un impaccio.

 

Znaider, gigantesco anche nel corpo, trionfa nel popolarissimo brano: tecnica smisurata, foga impetuosa, cavata formidabile, è dentro la musica di Piotr Ilic fino al collo. Sovrabbonda di arcate frementi, dal suo Guarneri del Gesù del 1741. Estrae suoni fulminanti e limpidi. L’estro ciaikovskiano dirompe in tutta la fantasiosa visionarietà. Perché Piotr Ilic è musicista seducente, sensuale e visionario: fragile tuttavia come un cristallo.

 

Matheuz accompagna con energia: è preciso, il suo gesto suscitatore di suoni richiama alla lontana l’amico Abbado, ma il fuoco di Diego è personalissimo. Soprattutto, la gioia. Vera.

 

Matheuz trasmette gioia: di suonare e di vivere. Il corpo e la mente seguono l’onda musicale senza imbarazzo e rigidezze: egli sta facendo musica con l’orchestra che gli risponde a tono, bravissima. Quando poi Diego, da solo, dirige la “Marcia Slava op. 31” è il romanticismo entusiasta di Piotr Ilic ad evidenziarsi, con la punta di retorica che talvolta gli scoppia tra le mani. Succede anche nella celebre “Quinta Sinfonia”: leggera, trepidante e trionfale. Ma gli aggettivi non basterebbero mai per definire una musica che è sensibilità estrema, anzi ipersensibilità iper-romantica.

 

Matheuz si sprofonda dentro una orchestrazione fascinosa come poche e una melodia sontuosa al massimo. Nessuna posa, lui è sincero, lucido. E l’aura tragica che adombra la sinfonia, nelle sue mani – nel gesto e nel cuore – e nella riposta orchestrale si stempera in luce solare.

Ovazioni a non finire.

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