La gioia ci spinge alle periferie

Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, inquadra l'Evangelii Gaudium di papa Francesco: «È totalizzante, prende il cristiano come parte del popolo di Dio che evangelizza, in tutte le sue dimensioni». Dall'intervista di Salvatore Mazza per Avvenire
Papa Francesco e Maria Voce Emmaus foto dell'Osservatore Romano
Per la prima volta di fronte all’Evangelii gaudium, «non avevo l’impressione di leggere un testo da studiare, da approfondire, quanto di ascoltare una voce». Quella «di una persona che si mette vicino a te e ti dice quali sono le esigenze dell’uomo», e «quali sono le necessità del mondo di oggi e come noi, Chiesa, possiamo aiutare il mondo». Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, non ha esitazioni nell’inquadrare l’Esortazione apostolica di papa Francesco: «È totalizzante – dice in questa intervista ad Avvenire –, prende il cristiano come parte del popolo di Dio che evangelizza, in tutte le sue dimensioni».

Cosa ha pensato quando ha letto questo testo?
«Ho avuto l’impressione di un documento fondamentale. Avevo partecipato come uditrice al Sinodo sulla nuova evangelizzazione e ho presenti gli argomenti trattati, il dibattito, le proposizioni presentate al papa… Mi sembra che il papa sia andato molto al di là di questo. Non ha parlato soltanto della nuova evangelizzazione, ma ha voluto tracciare delle linee sulla Chiesa oggi. Dal testo così non viene tanto in evidenza l’evangelizzazione come primo annuncio, né come nuovo annuncio laddove in passato la cultura è stata intrisa di cristianesimo. Viene piuttosto in evidenza l’evangelizzazione come testimonianza di un popolo cristiano in cammino per le vie del mondo. Per questo dico che è totalizzante».

Per la prima volta dalla Gaudium et spes, la parola «gioia» torna nel titolo di un documento magisteriale. Di che cosa, secondo lei, questo fatto è segno?
«Non è che se ne parli solo nel titolo, tutta l’Esortazione è pervasa da questo sentimento di gioia. Una gioia che si basa su un realismo e su un ottimismo di fondo. Dalle espressioni che il papa usa si avverte una gioia fondata sull’amore di Dio di cui noi siamo testimoni e beneficiari. Sarebbe strano non avere la gioia se siamo amati addirittura da un Dio. Nello stesso tempo è quella gioia che, proprio perché viene dal fatto di essere amati, spinge a nostra volta ad amare e a trasmetterla agli altri. Si parla di gioia sempre: quando si parla della politica, del distribuire i soldi, dell’azione verso i poveri, dell’attenzione all’ecologia».

Che ne deriva?
«Un ottimismo che non è banale, ma è sicuro, reale, perché si basa su un principio che trascende noi uomini. Lo vediamo, ad esempio, quando il papa tratta l’argomento delle relazioni personali che oggi, con i mezzi di comunicazione, tante volte diventano frammentarie. A un certo punto lui parla di "questa massa caotica che può diventare un’esperienza di vera fraternità". Il papa ne vede i limiti, li denuncia, però poi vede anche tutto il positivo che ne può venire fuori. C’è sempre una possibilità, anche nelle cose che apparentemente possono sembrare allontanare da Dio, di avvicinare gli uomini fra loro. E questo significa avvicinare ogni uomo a Dio, perché il punto di partenza è questo: Dio mi ama, Dio ti ama, e perché ti ama continua ad agire nella tua storia, nella storia degli uomini».

ll papa scrive che «è necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria». Che «cambio di marcia» impone una tale prospettiva?
«La Chiesa è missionaria per volontà di Gesù, suo fondatore, e quindi non è una novità che il papa oggi dica: uscite e andate a portare il Vangelo a tutta l’umanità, alle periferie esistenziali. Quella che mi sembra una novità è che il papa fa vedere in questo non tanto un dovere, ma l’essere del cristiano: il cristiano, perché cristiano, fa questo. Lo fa con la sua vita. Mette in evidenza che la missionarietà della Chiesa non è soltanto di alcuni, ma di tutto il popolo cristiano. Quel popolo di Dio che è chiamato ad aprire sempre di più i suoi confini e ad abbracciare sempre di più tutti gli uomini per i quali Gesù è morto e risorto. Questo mi fa pensare anche ai movimenti, a proposito dei carismi. Il papa a un certo punto parla dei carismi, come doni grandi che lo Spirito fa alla Chiesa, e che sono tali se sono a servizio della comunione ecclesiale. Lui riconosce il dono ed esorta ognuno a vivere del proprio dono, quindi ad essere testimone di quel dono che ha ricevuto e che deve servire alla comunione fra tutti. E dice che se uno ha veramente un carisma non ha motivo di temere i carismi degli altri, ha motivo solo di lodare Dio».

È uno dei grandi dibattiti che ancora attraversano la Chiesa.
«È una cosa che mi fa venire in mente, a me che sono focolarina, la parola di Chiara Lubich, quando diceva: "Io sono stata creata in dono per chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me". E così si potrebbe dire: lo Spirito Santo ha fatto al Movimento dei Focolari un dono speciale che è il carisma dell’unità, lo stesso Spirito Santo ha fatto ad ogni movimento un altro dono specifico; quello è fatto in dono a quel movimento per me, così come il mio è fatto in dono per l’altro movimento. Questo ci mette nell’atteggiamento giusto di che cosa dobbiamo fare noi, movimenti, nella Chiesa: essere a servizio della fraternità universale, a servizio di quella Chiesa-comunione che Gesù vuole e che comprende tutti. Non soltanto quelli che rispondono alla chiamata di Gesù, ma anche gli altri e verso i quali il papa ha un atteggiamento di fiducia e di rispetto. Anzi, parlando del dialogo interreligioso, dice apertamente che anche le forme di preghiera, di comunione, di rapporto col trascendente presenti in queste religioni diverse dalla religione cristiana possono aiutarci a vivere meglio le nostre forme. È un’apertura tale che permette di riconoscere il bene presente negli altri. Non soltanto nei cristiani ma anche negli uomini di buona volontà che si impegnano insieme a noi per il bene comune, per la salvaguardia del creato, della vita, delle libertà, di tutti i valori che riconosciamo insieme».

Francesco insiste sulla necessità di una riforma profonda delle strutture ecclesiali, includendo in questa anche il papato. In che cosa vede una continuità con Benedetto XVI e in cosa uno slancio nuovo?
«Si dice che la Chiesa deve essere sempre riformata, quindi anche le strutture della Chiesa, anche il papato. Mi sembra che questo Papa è anche prudente nel suo atteggiamento di riforma. La riforma non è una rivoluzione o un colpo di spugna, è un cambiamento nella continuità. In ciò che papa Francesco sta facendo si può cogliere l’indirizzo di questa riforma. Per esempio, il fatto di essersi circondato di un Consiglio di cardinali che non sono stabili a Roma, ma che vivono nei cinque continenti e che vengono a portargli il loro pensiero. Questa è una cosa nuova. Non che in Benedetto XVI non ci fosse il desiderio di riforma, però era consigliato da quelli che aveva vicino, non da quelli che vengono dalle altre parti del mondo. Poteva chiedere consiglio anche agli altri, però con questa forma c’è effettivamente una maggiore attenzione alle richieste che vengono dalla periferia, dal popolo di Dio, da chi soffre nei punti più disparati della terra per condizioni di ingiustizia, per persecuzioni, per situazioni difficili. C’è un’esigenza di ascoltare, di cogliere quali sono le necessità a cui la Chiesa deve rispondere lì. E allo stesso tempo la certezza che la Chiesa risponde sempre allo stesso modo, con la Parola di Dio predicata, vissuta, testimoniata».


Salvatore Mazza

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