La giada macchiata di sangue

Nwe Nwe Win è una giovane donna, che con suo marito cerca, tra le pietre delle numerose cave di pietra, la preziosa giada. È, forse, tra i 164 morti, sepolti dalla frana che li ha spazzati via.

Nwe Nwe Win è il nome di una giovane donna, intervistata qualche tempo fa dalla Bbc di cui si sono perse le tracce: con suo marito, come migliaia di persone, si precipitava dietro i camion che scaricano i rifiuti di pietra, dai grossi impianti d’estrazione alla ricerca della giada. Tutto questo fino a ieri, quando una frana causata dalle forti piogge stagionali, ha fatto franare il dorso di una collina sopra un laghetto che sovrastava una delle decine di cave: un’onda gigantesca, un vero e proprio tsunami di fango si è immediatamente abbattuto sulle centinaia di persone che stavano “frantumando” la pietra contenenti frammenti di giada più a valle, travolgendoli e seppellendoli. Inesorabile.

La zona delle cave, dove i poveri cercatori di giada lavorano è quella di Hpakant nello stato Kachin, all’estremo Nord del Myanmar. Un paesaggio dall’aspetto “lunare”, devastato, dove non esistono alberi e vegetazione e pertanto, facile a franare. Le notizie che arrivano, poche per la verità, dicono che era impossibile salvare le persone che erano ancora “a galla” nel mezzo al lago di fango: sono morte poco dopo. Una scena apocalittica. Sono stai recuperati “soltanto” 164 corpi senza vita e 57 feriti gravi. Si pensa che ci siano ancora circa 80 persone sotto il fango. Il bilancio effettivo non si saprà mai, per due ragioni: nessuno sa quante persone c’erano effettivamente alla cava; non ci sono i fondi e le tecniche e nemmeno la volontà di cercare persone sotto un mare di fango e detriti. Ieri sera, seduto con un mio amico dal Myanmar, sconsolato, mi diceva che suo zio è sparito nello stesso modo, qualche tempo fa, travolto da una frana di sassi; non si è più trovato il corpo. Questo esempio, come altri, è il triste destino dei poveri di queste zone del mondo.

giada. Myanmar, strage nella miniera: più di 160 persone morte nella franaMyanmar, strage nella miniera: più di 160 persone morte nella frana

Perché la giada è così preziosa? In Asia le si attribuiscono effetti terapeutici, proprietà calmanti, rasserenanti e lenitive degli stati d’animo turbati: pertanto è molto ricercata. E questa credenza, con la globalizzazione, è arrivata in tutto il mondo. Penso che alcuni di noi avranno ricevuto in regalo un piccolo rullo di pietra verde, di giada appunto, da usare quando si ha male in qualche parte del corpo o per la “bellezza” della pelle. Certo che uno degli utilizzi più pregiati sono per amuleti religiosi ed è ricercatissima in Asia. Indovinate quale sia il mercato più grande al mondo? Quello cinese. Tutto questo immenso business è, naturalmente, nelle mani dei ricchi o parenti di militari, che hanno un accesso indiscriminato e incontrollato sulle risorse di questo Paese, il Myanmar, tra i più ricchi del mondo in fatto di minerali. E lo stato del Kachin, dove si trova la giada, è proprio a ridosso del confine cinese. Una zona montagnosa e piena di foreste, un tempo, che, ahimè, anch’esse sono state depredate per il mercato del legno in mano alle grandi multinazionali di Singapore.

Solo il mercato mondiale della giada vale circa 30 miliardi di dollari l’anno: una cifra da capogiro, se pensiamo che i cercatori di giada, gli “spaccapietra”, come vengono comunemente chiamati, se sono fortunati, rischiando la vita ogni giorno, guadagnano in media qualche dollaro, giusto per comprarsi da mangiare. Se riescono a trovare una pietra particolarmente bella e grande possono venderla per una buona cifra, qualche decina o centinaia di dollari: ma diventa sempre più una possibilità remota per chi usa solo le mani e qualche piccolo piccone o zappa, contro i macchinari efficienti, che sgretolano colline intere. Proprio come Nwe Nwe Win e suo marito: usavano solo le nude mani.

Giada. Myanmar, strage nella miniera: più di 160 persone morte nella franaMyanmar, strage nella miniera: più di 160 persone morte nella frana

Una strage che non costituisce un episodio isolato: lo scorso anno i morti, in un’incidente del genere, il 27 Luglio del 2019, furono 14; e nell’Aprile sempre dello stesso anno, 55 morti. Potrei continuare con un bollettino simile per alcune pagine. Il governo del Myanmar, da parte sua, ha “ufficialmente” proibito ogni attività durante la stagione delle piogge, da Maggio a Ottobre. Falso. Fino a quando non si fermeranno i grandi bulldozer, gli scavatori, che scaricano tonnellate di preziosi detriti (provenienti dai costosi impianti automatici) sulle pendici delle cave, la gente non demorderà di cercare la giada, anche a rischio della vita.

Chi potrebbe mettere pressioni a queste grandi aziende, che indisturbate depredano il Myanmar? La comunità internazionale. E il nostro giornale chiede proprio questo: il bando del commercio della giada “cinese” che proviene, in realtà dal Myanmar, per ridimensionare il business dei militari. Le alternative alla ricerca della giada tra i sassi “lunari” Hpakant non è facile per la povera gente: resta la fame. Un altro grande problema, oltre a quanto detto finora, è l’uso della droga: i cercatori usano l’eroina, per non sentire la stanchezza, la fame, la sete, e per lavorare più degli altri competitori. In questa regione, dove se ne produce tanta, il prezzo è molto basso: e molti giovanissimi, scavano in cerca della giada per pagarsi, alla fine, solo le dosi giornaliere di eroina, che consumano direttamente in cava.

Noi tutti dovremmo forse svegliarci dalla comodità e dal torpore del consumo facile e pensare, ogni volta che compriamo, per esempio, un oggetto, magari un souvenir, un qualcosa di “esotico”, di speciale: chi lo avrà prodotto? Di quali materiali è composto? Arriva da zone di guerra? Insomma: comprare “un ricordino” per qualche familiare o amico, magari un rullo di pietra verde di pietra di giada, potrebbe essere “macchiato di sangue”: comprarlo è eticamente giusto? Oppure aiuto, con quest’azione, un commercio che potrebbe sfruttare la vita della povera gente se non la loro morte? Come i famosi “blood diamond”, i diamanti macchiati di sangue, provenienti dalla Sierra Leone. Non possiamo non farci queste domane. I volti, le vite di Nwe Nwe Win e suo marito e di tutti coloro che rischiano la vita per pochi dollari al giorno, interpellano ognuno di noi. Ed interpellano l’intera comunità internazionale. La nuova via della seta che promette sviluppo al mondo intero, è anche fonte di soprusi, povertà e ingiustizia per le classi più fragili: è una via forse macchiata, anch’essa, del sangue dei più poveri.

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