La gestione dell’acqua fra razionamento, sprechi e tubi rotti

La nostra rete di acquedotti ha una perdita media del 40%. I comuni italiani proprietari delle società in-house o soci delle utilities (le varie Acea, Hera, Iren Acqua, A2A, ecc.) hanno finora preferito incassare i dividenti per finanziare i propri bilanci piuttosto che re-investirli nelle reti idriche. Un problema che deve entrare nei  programmi elettorali dei diversi partiti
Acqua, emergenza idrica grave al Nord (AP Photo/Luca Bruno)

Una gita in canoa lungo il fiume di casa – il Brenta dell’alta padovana – si trasforma in un biathlon, con lunghi tratti di passeggiata sul greto secco trascinando il natante, alternati ad una stentata navigazione. È luglio e il fiume raggiunge la portata minima annuale, così striminzito però non lo avevo mai visto.

Rientro a casa e osservo il mio vicino che, nel suo rito di fine uscita, lava la bicicletta con decine di litri di acqua potabile. Accendo la tv ed il notiziario regionale mi informa che non c’è acqua sufficiente per irrigare le colture, mettendo a rischio i raccolti. Si rincorrono le ordinanze comunali per il razionamento idrico e i media riprendono il tema degli sprechi e delle perdite della rete. Qualche esperto azzarda nuove tecniche colturali per la nostra agricoltura riprese da pratiche consolidate di altri Paesi, come la famosa irrigazione a goccia di Israele. Sul comodino staziona “Il tempo e l’acqua” dello scrittore islandese Andri Snær Magnason, una lettura che rende consapevoli delle trasformazioni globali del clima e dei sui effetti sulle risorse idriche.

Non c’è dubbio che in questa torrida estate l’acqua sia diventata l’assoluta protagonista della nostra vita quotidiana. Data per scontata in estati precedenti, la drammatica concomitanza di alte temperature e la scarsità di precipitazioni – tanto da far riprendere l’antica usanza di pregare per la pioggia – ha enfatizzato la necessità di una riflessione sulla sua gestione.

Una riflessione iniziata ai tempi del referendum del 2011 e poi, come tante altre, passata in cavalleria.

Sono vari i fronti su cui intervenire per razionalizzarne il consumo: alcuni legati alle tecnologie produttive che usano acqua – vale per l’agricoltura, che ne è il principale consumatore con il 40% , ma anche per l’industria, che ne consuma circa il 20% – altri legati alla gestione della rete di distribuzione (bacini, depuratori, acquedotti, fognature) e alle abitudini quotidiane.

Hanno fatto notizia le proposte di razionamento delle docce calde dei cittadini tedeschi, con conseguente riduzione sia dell’acqua che del gas, come pure la singolare posizione di Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF, che sostiene pubblicamente di non fare la doccia da 60 anni. Ciascuno di noi, e non solo il mio vicino, può certamente fare qualcosa per ridurre gli sprechi d’acqua anche continuando a farsi la doccia (!). Sprechi che però sono anche di sistema.

L’acqua per uso domestico non raggiunge il 10% e tuttavia è quella che più impatta nella nostra vita. Per quanto in Europa non abbiamo la situazione drammatica di quel terzo di cittadini del mondo che non hanno accesso a questa risorsa, tuttavia è arrivato il tempo in cui non possiamo più permetterci gli sprechi e le perdite nella rete: la diversa distribuzione delle precipitazioni, dovuta al cambiamento climatico, impone una rimodulazione di riserve e consumi. Una gestione ottimale della risorsa acqua consentirebbe di evitare spiacevoli razionamenti ed attuare quella solidarietà idrica fra territori che si renderà sempre più necessaria nei prossimi decenni.

Dagli ultimi dati forniti dai gestori raggruppati nella Fondazione Utilitatis  risulta che la nostra rete di acquedotti ha una perdita media del 40%, di cui 32% al nord, il 48% al centro e il 50% al sud. Fa specie il caso della provincia di Belluno con perdite stimate dell’80%.

Il tema delle perdite si collega inevitabilmente a quello degli investimenti: in Italia si spendono 48,6 euro per abitante contro la media europea di circa 100 euro. La domanda che sorge spontanea è perché non investiamo abbastanza da chiudere gradualmente le falle del sistema? La risposta può risultare tanto banale quanto scontata. Manca la volontà politica e civica di farlo!

Il servizio idrico è gestito dagli enti locali  tramite diversi tipi di soggetti giuridici (utilities quotate, soggetti in-house, gestioni in economia…) tutti assoggettati al medesimo metodo tariffario nazionale e tutti egualmente accomunati dalla necessità/ volontà di non applicare prezzi da nord Europa (dato che a Berlino i cittadini pagano l’acqua 6 euro al metro cubo, a Milano se ne pagano 0,7 euro – Global Water Intelligence, tariffs survey 2021).

I comuni italiani proprietari delle società in-house o soci delle utilities (le varie Acea, Hera, Iren Acqua, A2A, ecc.) hanno finora preferito finora incassare i dividenti per finanziare i propri bilanci piuttosto che re-investirli nelle reti idriche. Il PNNR prevede 4,38 miliardi di euro per la tutela della risorsa idrica, pari al 2% delle risorse stanziate per l’Italia. Saranno finanziati 75 progetti di manutenzione straordinaria per infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura primaria d’acqua. Una bella boccata d’ossigeno, tuttavia non sufficiente per coprire gli interventi necessari, che invece richiedono un piano di investimenti in modo continuativo e l’avvio di una virtuosa gestione ordinaria., perché anche il PNRR finirà…

I partiti politici stanno affinando i programmi per la prossima tornata elettorale. Può essere allora interessante andare a scoprire quali proposte sapranno avanzare su questo tema così cruciale, e così collegato alla sfida di affrontare i cambiamenti climatici, perché è evidente … qualche aggiustamento normativo sarebbe pur necessario per incentivare gli investimenti nella rete idrica, come nelle tecnologie e nei comportamenti quotidiani che riducono il consumo d’acqua e tutelano la vita di un pianeta ancora azzurro.

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