La Germania piange Kohl

Il ricordo del grande cancelliere tedesco, morto a 87 anni, nelle parole del nostro corrispondente

Era l’inizio degli anni ’90. Con un gruppo di circa 25 giornalisti cattolici eravamo a Berlino a visitare vari uffici del governo. Pur non essendo giornalisti di grandissimo rilievo e allora, in un certo senso, senza valore politico per lui, per più di un’ora ci accolse il cancelliere Helmut Kohl per una chiacchierata “off the records”, a carattere informale. Ci teneva, semplicemente perché eravamo cattolici, come lui. Ricordo due cose che mi hanno impressionato. La prima: non ha mai perso il contatto con le persone semplici. «Quando voglio sapere cosa pensano i tedeschi – ci raccontava –, domenica, dopo la Messa, faccio una passeggiata lungo il Reno (a Ludwigshafen, sua città) e mi intrattengo con i pescatori. Dopo di che so che area tira nel paese». E la seconda cosa impressionante era la sua attenzione per i più deboli nella società. «Sono proprio preoccupato per il fatto che sempre di più andiamo a perder dei posti di lavoro per le persone semplici senza formazione», ci confidava in quell’occasione.

Sì, Kohl era un grande, che non ha mai perso d’occhio i piccoli. Era grande non solo per la sua statura di 1 metro e 93, ma anche per l’assiduità con la quale seguiva i suoi progetti, per la sua capacità di crearsi e curare una rete di rapporti di reciproca solidarietà e fiducia che si estendeva da un semplice membro della CDU nella provincia fino a Michail Gorbatschow. Era grande perché sapeva aspettare con pazienza il momento giusto per poi agire con decisione e fermezza.

Per queste caratteristiche era la persona giusta nel momento giusto, cioè quello del crollo dell’impero sovietico nel 1989. Il crollo sicuramente non è stato solo merito suo, ma per gestire poi questa storica chance, Kohl è stata la persona giusta. La mossa geniale di “pagare” la riunificazione della Germania con l’integrazione del Paese in Europa e con la rinuncia alla “Deutsche Mark”, cioè lo stimatissimo Marco tedesco, non è stata solo un’azione tecnica, manageriale. Era impregnata da due visioni legate alla sua biografia: la pace e l’Europa: «Mai più la guerra», era la convinzione del 15enne che poco prima della fine della Seconda guerra mondiale era stato chiamato alle armi e che poi per due mesi dovette attraversare a piedi la Germania distrutta per tornare a casa nella Renania-Palatinato, una regione tradizionalmente molto vicina alla Francia e per questo aperta all’idea di un’Europa unita.

Kohl aveva i suoi difetti: la sua assiduità e tenacia potevano diventare caparbietà. La sua pazienza poteva trasformarsi in una brama di rivalsa contro quelli che lo avevano tradito. La sua rete di rapporti poteva svelare la sua tendenza al paternalismo.

Ma in generale prevale di molto ciò che noi tedeschi gli dobbiamo: il suo stile di governo ha accresciuto la nostra fiducia nelle istituzioni politiche. La sua politica economica ha consolidato le basi per un benessere a lungo termine. I suoi passi coraggiosi verso l’unificazione della Germania hanno liberato – senza alcun trionfalismo – questo Paese dal trauma dell’ultima guerra. La piena integrazione dei tedeschi nella famiglia europea ha aperto tante prospettive per il futuro – non solo ai tedeschi. Grazie, dr. Kohl!

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