La gente protagonista dei riti pasquali
SICILIA
La statua della Madonna viene portata in strada vestita di un manto nero. Maria è in lutto per la morte del Figlio. San Pietro esce dalla chiesetta omonima e incontra Cristo. Felice, si dirige verso Maria, la incontra e, con tre inchini, le dà l’annuncio che Gesù è risorto. Di corsa, torna indietro verso il Cristo, per comunicargli che sua Madre sa che Egli è vivo. Insieme si dirigono verso piazza Municipio, dove la Madonna attende. Alla vista del Figlio, Maria lascia le gramaglie ed appare con uno splendido manto azzurro. A sua volta, si inchina tre volte verso il Figlio. È la sequenza della Giunta, scenografico racconto della Risurrezione che rivive a Caltagirone, con la processione che prosegue per le vie della città fino alla “Spartenza”, quando le tre statue si separano.
La Pasqua a Caltagirone (CT) ha tradizioni antichissime e legami profondi con la tradizione spagnola. La Sicilia fu governata dagli aragonesi dal XIV al XVI secolo, per poi passare alla Spagna castigliana fino al XVIII secolo.
Tantissime delle tradizioni pasquali in Sicilia si richiamano ai riti spagnoli. Molto simili le tradizioni che si ritrovano nel ragusano. A Modica, con la “Madonna Vasa Vasa”, dove la statua di Maria (un manichino semovente) a mezzogiorno incontra il Figlio risorto, lascia cadere il manto nero e gli va incontro per abbracciarlo e baciarlo. A Comiso, l’incontro tra Gesù e la Madonna è denominato A Paci. A Scicli la statua del Cristo (“U Gioia”, o “Omu Vivu”) viene fatta roteare all’impazzata per testimoniare la gioia della resurrezione.
La religiosità siciliana è teatralità, rappresentazione scenica.
È così anche nei riti della Settimana santa, con i Misteri di Caltanissetta e Trapani, con le Real maestranze, le processioni di Enna, con le confraternite.
In passato, il racconto della Risurrezione veniva narrato al popolo utilizzando gli strumenti teatrali e la modernità non ha scalfito riti antichissimi, che anzi sembrano rinsaldarsi. Folklore e pietà popolare si intersecano. Tradizioni sacre e profane si incrociano, in un mix talvolta inestricabile. Il bisogno della “festa” segna spesso l’identità di una comunità. E la sua storia. Scriveva Gesualdo Bufalino, uno dei maggiori scrittori siciliani del 900: «A Pasqua, ogni siciliano si sente non solo spettatore, ma attore».
Francesca Cabibbo
LIGURIA
Una Pasqua tra tradizione e gusto
Da Savona ad Imperia, processioni coinvolgenti e antiche nenie
La primavera irrompe e regala giornate di spiagge e di mare: la Pasqua in Liguria è anche questo.
Turismo, grande movimento di persone che da levante a ponente percorrono la regione. Sono giorni di ponte e allora si va alla ricerca dei santuari, di fede e della cucina. E tante sono le celebrazioni suggestive che rievocano la passione e la morte del Cristo. A Savona il venerdì santo ha luogo la Processione delle casse, un antico rito che coinvolge più di 1200 persone. Accompagnati da un sottofondo di tamburi, i portatori della croce di Passione si fanno strada per le vie della città, seguiti da centinaia di fedeli. La processione termina con l’Arca della reliquia della Santa croce, il cui simbolo è il baldacchino contenente un frammento della croce di Cristo. In provincia di Imperia, a Ceriana, la Settimana santa inizia dal pomeriggio del giovedì santo con il suono di lunghi corni ricavati dalla corteccia degli alberi di castagno, avvolti a spirale, con frittelle di mele appese agli stecchi per ricompensare i musicisti. Alla suggestiva processione che segue partecipano penitenti incappucciati, con l’abito tradizionale e con le mantelline colorate delle quattro confraternite cerianesi, che cantano il Miserere e altre preghiere, oltre a lodi pre- medioevali. Il vigore dei canti corali fa della settimana santa di Ceriana un evento irripetibile, coinvolgente e affascinante.
Ricco di una straordinaria carica emotiva, consente di tornare ad atmosfere di oltre mille anni fa. A Montalto Ligure, invece, nella notte tra il giovedì e il venerdì santo, una schiera di uomini e ragazzi, al suono malinconico e lugubre di una tromba, accompagnato da un tamburo e una grancassa, cantano per le vie del paese antiche nenie fino a tarda notte. Il sabato santo, poi, vengono portate in processione le statue di cartapesta che fanno rivivere la Via Crucis. Nella frazione di Molini di Triora, il venerdì santo si rievoca invece la Calata del Cristo dalla croce con una processione per le vie del paese in attesa dell’esposizione, e la domenica di Pasqua, nella chiesa parrocchiale, della statua ottocentesca del Cristo risorto.
Silvano Gianti
SARDEGNA
La “Pasca Manna” dei sardi
Tradizioni spagnole si mischiano a quelle locali, dando vita a caratteristiche celebrazioni
Il nome in lingua sarda dà l’idea dell’importanza della Pasqua per gli abitanti dell’Isola: “Pasca Manna”, la grande Pasqua, che si differenzia da “Sa Paschixedda”, il Natale. Questo perché le celebrazioni della Settimana santa e della Pasqua hanno in Sardegna origini antiche, fortemente connotate dall’impronta lasciata dai cinque secoli di dominazione catalano-aragonese. Si rievocano la Passione, la Morte e la Risurrezione di Cristo grazie alle confraternite, sodalizi custodi da secoli delle antiche tradizioni, in quelle che un tempo erano alcune delle città regie: Cagliari, Iglesias, Castelsardo (SS) e Alghero.
Nel capoluogo di regione, nei quartieri storici di Castello, Villanova Stampace e Marina, si rinnovano i riti delle processioni per le strette vie di statue antiche, preziosi crocifissi e simulacri nei giorni del triduo santo, fino alla Pasqua di Risurrezione con S’Incontru (l’Incontro) tra la Vergine e il Risorto tra ali di folla. A Castelsardo il lunedì santo si celebra la processione de Lunissanti, la cui origine risale ai tempi in cui monaci benedettini vivevano nel paese. Il giorno dopo la Domenica delle palme vengono portati in processione i Misteri, gli strumenti della Passione di Gesù. A Iglesias i riti rivivono invece nelle processioni per le vie del centro de Is Baballottis (dal sardo campidanese, animaletti), persone che indossano una veste bianca, con il capo coperto da “sa visiera” che nasconde il volto, e ricordano gli antichi disciplinanti iglesienti, riuniti in congregazione nel 1323. Ad Alghero, dove anche nella lingua è rimasta l’impronta catalana, suggestive sono le celebrazioni per Setmana Santa de l’Alguer, con la sacra rappresentazione del Desclavament, il discendimento dalla croce del venerdì santo, il momento più atteso dei riti algheresi.
Roberto Comparetti