La gente di piazza Tahrir

Un anno fa il punto di non ritorno è stato varcato. La forza delle radici della rivoluzione, le incognite del futuro.
Gente di Tahrir

Davanti alla moschea Omar Makram, che dà su Midan Tahrir, piazza Tahrir, proprio di fronte al Museo egizio, c’è un assembramento di gente vociante. Un uomo di statura modesta avanza tra la folla, scortato da una dozzina di energumeni. È Amr Mussa, già presidente della Lega araba, ora candidato alla presidenza del Nuovo Egitto. Come Mussa, tutti i candidati stanno cercando di intercettare il voto dei musulmani, dopo che le elezioni legislative hanno dato risultati sorprendenti: gli attesi Fratelli musulmani (partito islamico “moderato”) hanno sfiorato il 50 per cento, mentre gli inattesi salafiti (radicali) s’avvicinano al 25. I liberali si sono fermati al 15. Non mancano le accuse di brogli e d’inganno perpetrato ai danni degli analfabeti, che in Egitto sarebbero la metà della popolazione. Sconfitta degli aneliti di libertà del popolo?

 

Al Midan

 

C’è sempre gente a piazza Tahrir da quel 25 gennaio 2011 in cui una manifestazione s’era d’improvviso radunata per protestare contro Mubarak e la mancanza di libertà. Come un vaso colmo che versa il suo contenuto tutt’attorno a sé. Certo, gli entusiasmi si sono raffreddati, dopo i gravi incidenti sotto la torre tivù Maspero, il 9 ottobre scorso: 27 morti e centinaia di feriti. Ormai le proteste si concentrano sull’esercito, onnipresente nella società egiziana.

 

Due o tre gruppi di giovani e meno giovani scoppiano in grida di protesta, sventolano bandiere e stendardi, qualche ritratto dei martiri di piazza Tahrir (si parla ormai di 800 morti e cinquemila feriti). Un venditore di magliette a tema rivoluzionario parla un po’ d’italiano, non si preoccupa: qui ormai la protesta è normale. «Abbiamo imparato a parlare». A essere liberi? «Vedremo».

 

In un angolo della piazza un palazzo è ingabbiato in strisce di plastica verde. Accanto, un muro di cubi di cemento d’un metro di diametro è stato eretto dalle autorità per evitare le infiltrazioni dei contestatori. Non tutti sanno che quel palazzo bruciato il 16 dicembre 2011, forse per caso o forse per dolo, ha mandato in fumo il simbolo stesso del tentativo europeo di conciliare Islam e modernità: era l’Accademia scientifica d’Egitto, fondata da Napoleone nel 1798, ricca di 200 mila volumi di enorme valore scientifico, un pezzo della storia del Paese.

 

Le pallottole di gomma

 

Sono andato alla ricerca della gente di piazza Tahrir, quella della prima ora, quella che ha rischiato sulla propria pelle. E l’ho trovata. Ramy Boulos (26) è un copto cristiano, cattolico, ingegnere medico. Da qualche mese ha scelto di lasciare la professione per dedicarsi alla difesa dei diritti umani. Ora lavora per l’Egyptian center for woman rights, per la difesa dei diritti delle donne. Lui a piazza Tahrir c’era già il 25 gennaio. La vigilia aveva manifestato su Facebook la sua frustrazione per lo stallo in cui versava la libertà all’egiziana. Poi il 25, consultando il suo smartphone, ha sentito dei primi incidenti. «Ho intuito che qualcosa di grande stava succedendo, e mi sono precipitato sul posto». Non sa bene quali siano state le ragioni dello scoppio: «Credo che ad accomunarci tutti fosse il desiderio di una vita migliore. Gli slogan chiedevano pace, libertà e giustizia sociale, la sintesi delle rivendicazioni». Non è chiaro nemmeno chi abbia iniziato: «Nessuno può dirlo. Ma so che ci guardavamo in modo diverso dal solito, più libero e più fiducioso». Social network? «Sono i nostri strumenti di aggregazione e battaglia. Abbiamo cominciato a pubblicare video, interviste, paragonando le dichiarazioni dei capi dell’esercito e il loro effettivo comportamento».

 

Ahmad el Bohy (30) è anche lui ingegnere, un libero professionista. È musulmano sufi, ha due figli. Se Ramy s’era beccato sulla testa una pietra che l’aveva ferito non gravemente, Ahmad, anch’egli un rivoluzionario della prima ora, il 26 gennaio 2011 s’è beccato due delle famigerate pallottole di gomma tirate dai soldati egiziani sulla folla ad altezza d’uomo, provocando tra l’altro centinaia di casi di cecità. Ahmad è stato colpito solo su braccio destro e spalla sinistra. «In realtà noi manifestanti non volevamo attaccare la polizia e l’esercito, ma solo resistere. Così come loro non avrebbero voluto picchiarci, ma farci sgomberare. Non ci sono riusciti. E la folla ha manifestato non solo un grande coraggio, ma anche un’intelligenza tattica che ha fatto infuriare le forze dell’ordine, che si sono viste derise dai nostri stratagemmi». Il futuro per Ahmad è chiaro: «Abbiamo pagato col sangue il nostro avvenire. In Egitto non lo si sparge di frequente e quando scorre trasmette una forza ancestrale. La libertà l’abbiamo sperimentata, ormai non la lasceremo più. Nemmeno a chi vuole imporre la tradizione islamica a tutta la popolazione».

 

Cosa ne pensano i cristiani?

 

Dopo un anno di proteste e di manifestazioni, elezioni e responsi inattesi, ci si chiede: dove andrà l’Egitto? Le risposte sono varie ma stimolanti. Nel mondo cristiano (le statistiche lo misurano tra il 15 e il 5 per cento, probabilmente la verità sta intorno agli otto millioni), c’è grande incertezza. Pesa soprattutto il massacro di Maspero – la protesta copta soppressa nel sangue, dopo ridicole accuse rivolte ai copti stessi di attaccare la polizia e diffuse da media compiacenti –, che ha evidenziato una lacerazione profonda della società egiziana e l’emarginazione di tanti cristiani. Anche se la rivolta di piazza Tahrir non è stata confessionale, come ha dimostrato la fiaccolata dell’ultimo dell’anno, organizzata in comune da musulmani e cristiani.

 

Giuseppe Scattolin è missionario comboniano, tra i maggiori esperti di sufismo al mondo. Lo incontro nel suo studio al Cairo, a Zamalek, dove campeggia la sua biblioteca, protetta da pesanti tendaggi per via della polvere che qui s’infila dappertutto: «Ho l’impressione che l’incendio all’Accademia delle scienze sia un emblema di questa rivoluzione. L’istituto, fondato da Napoleone per aprire la religione musulmana ai Lumi, dopo due secoli di lavoro viene incendiato, mentre trionfa il ritorno alla tradizione. L’Islam mostra di rifiutare la modernità e nemmeno i contestatori di piazza Tahrir sembrano modificare quest’assunto. È mancata loro, mi sembra, la presenza di una classe intellettuale che proponesse un Islam conciliato con la modernità, o incamminato nella direzione giusta».

 

I domenicani in Egitto hanno saputo farsi amici ovunque. Hanno uno sguardo direi più ottimista sulla realtà. Emilio Platti, italo-belga, è un altro grande esperto di cultura islamica. Nella biblioteca Ideo di studi islamici che riunisce 150 mila libri – ma anche un giardino all’egiziana di rara intimità –, mi dà la sua versione: «Improvvisamente si è cominciato a parlare di politica ovunque. Tutti lo facevano! Con le manifestazioni del 29 luglio 2011, invece, è entrata in campo l’ideologia islamica e s’è cominciato a parlare di shari’a come unica fonte di diritto. Ma più tardi, in novembre, i giovani hanno ricordato che la rivoluzione era sorta nel nome della libertà. Ora la gestione del potere costringerà i Fratelli musulmani a rivedere alcune posizioni, a scendere a compromessi con l’esercito, a risolvere gli enormi problemi economici prestando attenzione anche all’estero, all’Occidente».

 

E le autorità musulmane?

 

È una tra le istituzioni più note dell’Islam. Al Azhar è una sorta di centro di ispirazione e di giudizio per i musulmani di tradizione sunnita del mondo intero. Arrivando ai suoi moderni palazzi, proprio di fronte alla suggestiva “città dei morti”, tutta cupole e minareti di mausolei e moschee, si respira un’aria particolare: uomini e donne del popolo entrano ed escono con l’aria di chi ha da chiedere qualcosa di importante per sé e per l’umanità. Qui vengono emesse le celebri fatwa di Al Azhar.

Ed è qui che incontro un fine linguista, Mahmoud Azab, consigliere del grande imam, Ahmed el Tayyeb, per il dialogo: «Non solo per il dialogo interreligioso – mi precisa –, perché sulla fede non si può discutere. Mentre sulla cultura sì. Dialogo vuol dire cercare i valori comuni».

 

La sua visione della situazione egiziana è composita: «Noi egiziani siamo africani, della Valle del Nilo, mediterranei e asiatici. L’egiziano conserva questi strati sovrapposti e mescolati: non si può capirlo senza tenerne conto». Una premessa utile: «La rivoluzione non era chiara all’inizio, i contorni erano confusi. Ma ora si è chiarito che cosa vogliano i rivoluzionari e si spera che non si torni indietro. La nostra democrazia si sta formando. Abbiamo votato, abbiamo un Parlamento che si sta aprendo, avremo un nuovo presidente. I Fratelli musulmani hanno vinto le elezioni e ora gestiranno il potere, ma la piazza Tahrir resterà un luogo sacro. Dobbiamo far l’esperienza di questa nuova fase storica, e ci si dovrà giudicare solo dagli atti. Sulla base universale dei diritti dell’essere umano si crescerà. Avremo qualcosa delle altre democrazie mondiali, ma la nostra via sarà originale, egiziana».

 

Cosa vi aspettate dall’Europa? «Che cerchi di capirci e di capire la situazione; che lasci da parte una certa arroganza; che dialoghi con noi a condizioni di parità; che i media non siano superficiali».

Al Azhar lo scorso giugno ha pubblicato una “Dichiarazione sull’avvenire dell’Egitto” che si propone come fonte della nuova Carta costituzionale. Si tratta di undici principi per la creazione di uno Stato nazionale costituzionale, democratico e moderno, basato sul suffragio universale diretto, che rispetti i sistemi delle libertà fondamentali di pensiero e d’opinione, nel totale rispetto dei diritti umani e quindi anche delle religioni monoteiste. I prossimi mesi diranno se queste aspirazioni avranno una loro realizzazione. Lo sperano l’Egitto, il Mediterraneo e il pianeta intero.

Michele Zanzucchi

 

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Sulle rive dell’isola Zamelek

 

Intervista al nunzio, mons. Michael Fitzgerald

 

Come leggere il presente?

«È stato un anno di grandi cambiamenti. Nei primi mesi le manifestazioni erano seguite da tutta la popolazione, ora da molta meno gente. C’è impazienza e una certa sfiducia, perché la rivoluzione non sembra essere andata nella direzione voluta. Pochi immaginavano il successo dei salafiti, mentre quello dei Fratelli musulmani era atteso. E le forze liberali si sono divise in 20 partiti…».

 

Quanto durerà la transizione?

«Cinque o sei anni. Sei mesi ci vorranno comunque per completare il quadro istituzionale. Ma un equilibrio per il Paese sarà difficile da raggiungere. Se i Fratelli musulmani avranno la maggioranza assoluta dei seggi e non manterranno le promesse, islamizzando il Paese, la gente poi voterà contro di loro. Un certo gusto per la libertà d’espressione è ormai entrato».

 

La nazione è divisa?

«C’è una povertà materiale e intellettuale molto diffusa. Il governo durante l’epoca Mubarak ha sempre parlato di Paese in crescita, mentre l’economia andava a rotoli e il gap tra ricchi e poveri cresceva. Gli egiziani sono pazienti, ma non troppo! Il governo non rispondeva più alle richieste della gente per salari giusti o per una scuola efficiente».

 

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Piccolo glossario

 

Fratelli musulmani È una delle più diffuse organizzazioni islamiche. Fondati nel 1928 da al-Hasan al-Banna, in Egitto, si oppongono alla secolarizzazione e propugnano un’osservanza fedele del Corano. Agiscono in politica, insegnamento, sanità e in attività sociali.

Salafiti La salafiyya è una scuola di pensiero sunnita che prende il nome da salaf al-ṣaliḥīn, cioè i “pii antenati”, le prime tre generazioni di musulmani considerate esemplari. Nel XIX secolo emerge il desiderio di una purezza originaria, di un ritorno alle fonti dell’Islam.

Shari’a È la legge islamica, dedotta direttamente dal Corano: può essere una o la sola sorgente del diritto civile. Quattro sono le scuole principali di interpretazione.

Copti Sono i cristiani che abitano l’Egitto (“copto” vuol dire “egiziano”). Sono soprattutto ortodossi (il papa è Shenouda III), ma una parte di loro è cattolica (il patriarca è Antonios Naguib).

Fatwa È una sentenza giuridica riguardante la legge islamica espressa dall’autorità competente.

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