La fusione nel Sacro di carne e spirito

La recensione di Giorgio Montefoschi apparsa sul Corsera del 28 dicembre su una delle opere del periodo montanista di Tertulliano edita da Città Nuova
Tertulliano
Cartaginese e avvocato, ma anche sacerdote. Tertulliano, il primo teologo in lingua latina, è stato tutto questo ma è stato soprattutto grande autore di opere, alcune del periodo montanista riedite da Città Nuova. La recensione di Giorgio Montefoschi dal Corsera del 28 dicembre su uno dei brevi trattati del filosofo.

 

Attorno al 160 d.C., in Frigia, un prete di nome Montano era caduto in estasi e aveva cominciato a profetare come nei tempi antichi. 

Presto, le sue profezie furono messe per iscritto e in tutta l’Asia Minore si sparse la voce che Dio aveva fatto agli uomini una nuova e definitiva rivelazione. Il cuore di questa rivelazione consisteva in una fine del mondo ormai vicinissima.

 

Il Signore, aveva promesso, sarebbe tornato sulla Terra. Insieme a Lui, in una località della Frigia, sarebbe discesa la Gerusalemme celeste, nella quale si sarebbero raccolti tutti i santi che avevano sofferto in nome di Gesù: il Dio fatto carne che aveva espiato con la carne sulla croce i peccati del mondo.

 

I cristiani, fortificati dal Paraclito, lo Spirito Santo, dovevano prepararsi con digiuni e penitenze. Ma non solo: dovevano liberarsi del tutto dai legami carnali, mutando addirittura il matrimonio o, in caso di vedovanza, risposarsi. L’ascetismo e il rigore di Montano e della sua setta, la Nuova Profezia, approdarono sulle coste del Nordafrica nei primissimi anni del lll secolo e conquistarono Tertulliano, il presbitero di Cartagine che di questo rigore già sentiva da tempo l’esigenza. 

 

"La volontà di Dio è la nostra santificazione", scrive all’inizio del breve trattato Esortazione alla castità, che leggiamo nel volume dedicato da Città Nuova alle Opere Montaniste (a cura di G. Azzali Bernardelli, F. Ruggero, E. Sanzi, C. Schipani, PP.424, € 68). Questo bene, vale a dire la santità – prosegue – Dio lo ha diviso in tre specie.

 

La prima è la verginità che possediamo dalla nascita e possiamo far durare tutta la vita; la seconda è la verginità che possiamo riconquistare con la seconda nascita, e cioè con il battesimo, e che con l’accordo dei coniugi santifica il matrimonio; la terza è la monogamia, cioè quando in seguito alla interruzione di un unico matrimonio si rinuncia ai rapporti sessuali.

 

Secondo Tertulliano, mentre nel secondo e nel terzo caso è la virtù dell’uomo che opera, il primo tipo di verginità è un dono primordiale. Ma questo è anche il dono che garantisce la vera felicità: «Non conoscere affatto ciò da cui poi desidererai essere liberato». Sono parole sconvolgenti, se pensiamo che vengono pronunciate da un cristiano del II secolo in lotta per riaffermare la realtà della carne.

 

Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza nella carne; il figlio è disceso nella carne; è morto – nonostante i dubbi di molti  – nella carne; resusciterà nella carne, come noi tutti resusciteremo. Per quale motivo dobbiamo considerare che la vera felicità consiste nell’ignorare il peso, la bellezza, gli strazi della carne? Per quale motivo dobbiamo considerare, nel matrimonio, l’unione sacra fra l’uomo e la donna – seguendo Paolo: «È meglio sposarsi che ardere» – come un rimedio per addormentare la concupiscenza, invece di onorare il corpo che Dio ci ha dato?

 

L’Esortazione alla castità ci opprime. Le sue raccomandazioni alle donne e alle vedove ci avviliscono. lì la sua prosa è angusta: non è più la stupenda prosa larga che nell’Apologeticum descrive Dio e l’universo. La sua unica luce è nel capitolo quinto. Ma è una luce che buca secoli d’oblio e ci inchioda.

 

Dio – scrive Tertulliano rifacendosi alla Genesi – ha creato la donna da una costola dell’uomo. L’uomo ha molte costole: ne ha usata una, perché voleva che una fosse la sua donna e «fossero due in una sola carne, non tre o quattro. Altrimenti non saranno più una sola carne né due in una sola carne. Lo saranno se l’unione e la fusione in un’unica cosa avvenga una volta soltanto». Improvvisamente, con queste parole, la congiunzione carnale che dovevamo fuggire diventa un atto sacro: l’atto sacro per eccellenza in quanto esecuzione della volontà divina.

 
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