La funzione calmante del coronavirus
Anche in America Latina ci si chiede se si possa parlare d’altro quando mezzo mondo è relegato in casa dal coronavirus. Mi diceva un collega: «Sarebbe come poter chiacchierare un’oretta con Lionel Messi e non parlare di calcio». L’esempio non fa una grinza. Ma allora proviamo a non limitarci a paragonare dati statistici su contagi, guarigioni, decessi e tamponi realizzati.
Una prima risorsa di ogni Paese è quella della coesione interna di fronte a questa emergenza che ha reso tutti spiazzati, dalla Cina agli Usa, all’America Latina. Un cambiamento importante in questo senso lo ha fatto l’Argentina dove, se non vogliamo definirlo un quadrato attorno al presidente Alberto Fernández, si può almeno dire che le divisioni sono state sostanzialmente messe da parte, quelle che avevano spaccato non solo il mondo politico, ma anche la società intera tra fautori e avversari del kirchnerismo-peronismo. Una polarizzazione conosciuta come la grieta, il crepaccio. Scriveva in questi giorni un attivista dell’opposizione: «Ma cosa demonio succede ai miei compagni di partito, stanno diventando tutti kirchneristi?». Sebbene si sia lontani dall’aver raggiunto una visione unanime dell’immensa sfida, al sistema politico e agli argentini è apparso chiaro che le divisioni vanno oggi relativizzate di fronte alla risposta dello Stato, con un appoggio sostanziale a Fernández.
In Colombia il governo del presidente Iván Duque sta miscelando le sue visioni neoliberiste, quelle che assegnano al mercato il ruolo di distribuire efficientemente la ricchezza, con la necessità di adottare misure protettive dei settori economici più colpiti dalla crisi, dunque un interventismo in chiara contraddizione con dette teorie. Il governo, dovrà rivedere la sua rottura col governo del vicino Venezuela. L’esecutivo finora riconosceva solo il dissidente Juan Guaidó quale legittimo rappresentate del Paese e non il presidente Maduro. Ma deve fare i conti con la necessità di coordinare la gestione di un migliaio di chilometri di porosa frontiera, per evitare il propagarsi del virus.
In questi giorni, molti vedevano stanco e dimagrito il presidente peruviano Martín Vizcarra, anche lui sotto pressione. Le divisioni politiche sono tutt’altro che cessate, anche se le recenti elezioni hanno bastonato severamente il populismo conservatore dei seguaci del clan Fujimori, settore che oggi non fa più il bello e il cattivo tempo nel Paese. Le dure misure di isolamento adottate prima ancora che i casi positivi superassero le varie centinaia, hanno trovato l’appoggio del sistema politico. Con l’aggiunta di iniziative generose del mondo dell’imprenditoria e della società civile. Una marca di bibite ha distribuito un milione di bottiglie d’acqua gratis, ad esempio. Nel settore della ristorazione, varie imprese hanno deciso misure di contenimento per evitare licenziamenti. Le banche hanno riprogrammato le rate dei debiti di 150 mila clienti e ridotto i tassi di interesse. Altre firme hanno donato fondi per le famiglie vulnerabili.
Dove continua ad apparire uno scollamento preoccupante è in Brasile. Il presidente Jair Bolsonaro si ostina a opporsi a misure restrittive e continua a criticare i governatori che le applicano, specialmente San Paulo e Rio de Janeiro, dove in realtà si registra l’epicentro dei contagi e l’80% dei decessi. Ma in realtà, 25 su 27 governatori sono contrari alla posizione di Bolsonaro; tra questi anche suoi importanti alleati nella campagna elettorale. Sono corse addirittura voci di contatti di figure dell’esercito che avrebbero ipotizzato una destituzione del presidente. Pare difficile che si metta in moto un processo di destituzione in questi frangenti. Ma i calcoli politici di Bolsonaro, che non vuole affrontare la campagna per la rielezione del 2022 in piena recessione, stanno cozzando con una realtà che non ammette dilazioni né errori. Questa non è una «influenzina», sua definizione, e non è vero che i «i brasiliani entrano nelle fogne e non si contagiano». Oggi anche i suoi alleati gli chiedono di aprirsi al dialogo.
In generale, con qualche eccezione, appare chiaro che va superato un falso dilemma, quello di scegliere, tra difendere l’economia e difendere la salute. Difendendosi dal virus, si difende anche l’economia. Per la semplice ragione che gli attori economici sono le persone.