La fuga di cervelli che fa bene all’Italia
Secondo fugadeitalenti.com, tra il 2000 e il 2010, 316.572 italiani tra i 20 e i 40 anni hanno lasciato il Paese, oltre il 9 per cento dei laureati se ne va all’estero (+40 per cento negli ultimi 7 anni), tra cui la metà dei cento migliori ricercatori, con una perdita di capitale umano di 6 milioni di dollari e di 4 miliardi di euro in brevetti. I cervelli in fuga sono una perdita, questo è certo. Eppure, se cervelli sono, qualcosa di buono dovranno pur farlo: e forse è arrivato il momento di chiedersi come questo possa tornare a beneficio dell’Italia.
Bruxelles è un posto privilegiato per farsi un’idea del quadro degli italiani all’estero: la capitale belga, tra istituzioni europee, università, lobby e centri culturali, attira persone di ogni genere. Uno spaccato di umanità utile a comprendere il brain drain (fuga di cervelli, appunto), ma anche un laboratorio di idee per ridare spinta alla patria lontana.
Cervelli in ricerca
L’ipotesi più semplice è che il lavoro dei “fuggitivi” possa tornare utile anche all’Italia: dai medici agli informatici, la lista di connazionali che ha dato un contributo in questo senso è notevole. Dati i frangenti attuali, sono sulla breccia gli economisti: Luca Marcolin e Andrea Garnero, l’uno dottorando a Lovanio e l’altro a Bruxelles, hanno condotto una ricerca sui potenziali effetti di un’uscita dell’Italia dall’euro che è arrivata su Limes e Radio2.
Ma non è solo in questo che i due ventiseienni vedono il proprio contributo: «Come comunità italiana – spiegano – teniamo vivo il dibattito su temi di interesse per il Paese: da qui possiamo avere una visione “esterna” delle cose, complementare a quella cha avevamo in Italia. Inoltre facciamo pressione sulle istituzioni europee, soprattutto su temi che interessano anche altri espatriati». Per trovare qualcuno che li stesse a sentire su una delle questioni più annose, la regolamentazione degli stage, hanno dovuto rivolgersi ad un’europarlamentare danese: Emilie Turunen, classe 1984, che ha portato la questione nell’emiciclo di Strasburgo. Ma hanno trovato ascolto anche al Parlamento nazionale, ad esempio nell’onorevole Alessia Mosca, della cui proposta di legge sugli incentivi fiscali al rientro già avevamo parlato su cittanuova.it.
La funzione di “ponte” con l’estero viene sottolineata anche da Valerio Aversano, che ha concluso un master in scienze politiche a Lovanio: «In un mondo interdipendente – osserva – non possiamo vivere chiusi all’interno dei nostri confini: una comunità italiana in una città multinazionale come Bruxelles è una ricchezza immensa per creare legami».
Dalla fuga alla circolazione
La chiave, insomma, «non è tenersi strette le proprie menti – sostiene Andrea – ma far sì che ci sia uno scambio fecondo. E questa è una cosa che possiamo promuovere». È stato questo il tema di Italia 110, convegno organizzato il 3 febbraio al Parlamento europeo di Bruxelles con esponenti del mondo politico, accademico ed economico.
Tra questi un ricercatore della Cattolica di Milano, Paolo Balduzzi, che ha studiato il fenomeno della brain circulation, la circolazione dei cervelli. Balduzzi, dati alla mano, osserva come «l’eccezionalità dell’Italia non risiede nella sua incapacità di trattenere le persone più istruite, quanto nell’incapacità di attrarne altre»: l’Highly skilled exchange rate, il tasso di scambio di persone con elevato grado di istruzione, è al -1,2 per cento, contro il 2,8 della Francia, il 2,2 della Germania e addirittura il 20 degli Usa.
In attesa di politiche di immigrazione meno ostili e condizioni più rosee per lavoro e ricerca, gli espatriati possono creare le diaspore networks, reti della diaspora (già promosse da Paesi come il Sudafrica e la Colombia), «con l’intento di promuovere la circolazione dei risultati e delle idee invece che delle persone fisiche, e incentivare la partecipazione diretta allo sviluppo di nuovo capitale umano in patria». Basta anche un semplice sito: tra gli espatriati bruxellesi va forte Lo spazio della politica, nato per iniziativa di alcuni studenti bolognesi. Riunisce giovani sparsi in Italia e all’estero, che – al di là del nome del sito – vi riversano i loro contributi su ogni tema. Un curioso collage di punti di vista, grazie alla diversa formazione e collocazione geografica di chi vi contribuisce.
Tra nostalgia e nuovi orizzonti
Nella vita, però, non c’è solo il lavoro: le associazioni culturali italiane non si contano, da quelle che organizzano cineforum in lingua a quelle che promuovono corsi di pizzica. Il punto di ritrovo è la libreria Piola, che oltre a fornire libri ed eventi culturali in lingua madre, la sera allieta i nostri anche con aperitivi dal sapore di casa.
Il rimpianto per il Paese in cui si è nati rimane, per quanto «ogni volta che ritorno – ammette la palermitana Valentina Montalto, 26 anni, consulente di ricerca – mi senta “incompresa”». Valentina è una delle comparse del video di Giacomo Lariccia (vedi box), in cui la rabbia per le condizioni dell’Italia e il desiderio di fare qualcosa vengono espressi in musica. Anche Lorenzo, giovane medico, pur ammettendo che «le possibilità che ho avuto qui non le avrei mai avute in patria», sta valutando il rientro: «ma anche in quel caso mi riporterei a casa un modo diverso di lavorare, in cui ci si sente valorizzati e si riceve fiducia».
Per dirlo in musica
Come spesso accade, in principio fu Facebook: Giacomo Lariccia, cantautore romano, arrivato a Bruxelles nel 2000 per studiare chitarra jazz, ha lanciato il videoclip Povera Italia sui social network. Obiettivo, cercare “azionisti”: se non si riesce a far pagare la musica su web, ha pensato, allora dividiamo la canzone in “azioni”, in modo da rendere la gente partecipe di un progetto. È riuscito così ad autoprodurre il video, circolato in tutto il mondo grazie agli italiani della diaspora. Abbiamo incontrato Giacomo davanti ad un – italianissimo – caffè nella capitale belga.
Tra i tanti temi, perché la fuga dei cervelli?
«Per stimolare una riflessione: come ha potuto l'Italia andare avanti così per tanto tempo? Ho lasciato il mio Paese, ma non per questo lo rinnego, altrimenti non avrei scritto un pezzo che dice “è la mia gente che solo mi interessa”. Ciò che posso fare è sollevare un dibattito: nell'animo di tanti c'è voglia di tornare, e rabbia per non poter fare a casa propria ciò che si è riusciti a fare qui».
Nel video parli dell'Italia che “rialza la testa”: la rialza chi va o chi resta?
«La rialza chi contribuisce a creare un clima di maggiore rispetto per la persona, indipendentemente da dove si trovi. Conosco tante persone in Italia che si impegnano; chi vive o ha vissuto all'estero, magari in un Paese con un maggior senso civico, può però vedere meglio come il contributo che dai alla società poi ritorna e stimolare una maggior consapevolezza. Ma chi rialza la testa deve stare in primo luogo in Italia, perché è un processo di lungo periodo».