La frontiera non è un drago

Tensione tra Bruxelles e Londra per il ristabilimento discusso della divisione fisica tra Irlanda e Irlanda del Nord. Gli interessi britannici e quelli irlandesi si scontrano senza apparente soluzione. E l’Ue appoggia Dublino

 

Come andrà a finire la ormai lunga, trita e ritrita storia della Brexit? Suscita una certa curiosità immaginare cosa resterà negli annali della storia una tale vicenda, ma certamente i punti di vista sono numerosi e ben diversi.

A proposito di punti di vista, la vecchia frontiera tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda è diventata la “linea rossa” da non oltrepassare nelle trattative tra Bruxelles e Londra a proposito della Brexit. Sembra un gioco di parole. In realtà riattivare quella frontiera dopo quasi vent’anni che non esiste più, da quando cioè il 10 aprile 1998 è stato raggiunto lo storico “Accordo del Venerdì Santo”, non è una prospettiva piacevole, in particolare per chi vi abita vicino, che già intravede negative conseguenze nella futura semplice quotidianità.

Ora però è l’incubo più immediato è del governo britannico, tuttora incapace di far fronte a questo lungo confine, un drago di 500 chilometri con le armi della diplomazia. Il metaforico drago potrebbe risvegliarsi e riaprire i molti passaggi di frontiera, oltre 200, oggi inattivi.

Bruxelles aveva proposto una soluzione per evitare di ristabilire la frontiera. Battezzata backstop, consisteva nello spostare la frontiera verso il mare, tra le due isole più precisamente, il che avrebbe permesso di mantenere l’Irlanda del Nord dentro il mercato interno e l’unione doganale dell’Ue. Ma agli euroscettici del parlamento britannico non è piaciuta la soluzione. E poi, perché continuare a bloccare l’accordo sulla Brexit – «solo per una questione che interessa a un piccolo Stato come l’Irlanda?», – si chiedevano i parlamentari a Londra.

Nel corso della storia, è vero, l’Irlanda ha fatto passi avanti mettendo i propri piedi sulle orme dei britannici, anche quando decise di entrare nell’Ue nel 1973. Ora, però, sembra voglia prendere in mano le redini del proprio futuro e guidare la diligenza, confermando anche i vantaggi per i piccoli Stati di far parte dell’Ue. Così aveva affermato mesi fa Donald Tusk in una visita a Dublino: «Se l’offerta britannica non è accettabile per l’Irlanda, non lo sarà nemmeno per l’Ue». E lo spiegava così: «Questa è la logica che c’è dietro il fatto che Irlanda è membro dell’Unione europea mentre il Regno Unito la sta abbandonando». Ecco perché «le chiavi del futuro britannico sono a Dublino, almeno mentre continuano le trattative». E così è accaduto. Una settimana fa il premier irlandese, Leo Varadkar, si è goduto a Bruxelles l’appoggio dei soci europei: «Questa solidarietà riecheggia profondamente in Irlanda, ma non solo lì, anche in tutti i piccoli Stati membri».

A Londra incomincia a risuonare un’ipotesi considerata nell’accordo di pace del Venerdì Santo del ‘98, e cioè, una «indagine sulla frontiera», che però richiede l’approvazione del governo. Al proposito, la presidente del Sinn Fein, il partito indipendentista irlandese, Mary Lou McDonald, così si è espressa: «Se la frontiera in Irlanda non può essere gestita a breve termine, allora mettiamo la questione democraticamente nelle mani della gente (…). Uno de grandi simboli del successo del processo di pace è che le persone possono attraversare senza ostacoli la frontiera».

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