La Francia guida l’attacco a Gbagbo
Le forze Onu guidate dai francesi hanno bombardato le caserme ivoriane per cacciare il presidente uscente. Intervista a padre Lunes, missionario Pime: quando un Paese ne attacca un altro è una guerra mascherata da intervento umanitario
In Costa d’Avorio ormai è guerra totale. E non si tratta soltanto dello scontro per la conquista dello scranno presidenziale, che vede contrapposti il capo di Stato uscente, Laurent Gbagbo, rieletto dalla Corte Costituzionale, e lo sfidante Alassane Ouattara, ritenuto vincitore dalla Commissione elettorale e riconosciuto tale dalla Comunità internazionale. Adesso, infatti, dai moniti dell’Onuci (com’è definita l’operazione dell’Onu in Costa d’Avorio) si è passati all’attacco armato, con in campo i caschi blu guidati dalle truppe francesi dell’operazione Licorne.
Una situazione incredibile, se si considera che l’Organizzazione delle nazioni unite ha come obiettivo prioritario quello di riaffermare e tutelare i diritti dell’uomo. Un paradosso evidenziato anche da padre Toninho Lunes, missionario del Pime (Pontificio istituto per le missioni estere), che in Costa d’Avorio è vissuto per 19 anni. «Ieri – spiega il religioso – le forze dell’Onu hanno attaccato le caserme militari con i mezzi pesanti. A guidarli, c’erano i francesi dell’operazione Licorne. Ma quando un Paese ne attacca un altro si tratta di guerra o di un tentativo di colpo di stato. Invece, si sta agendo dicendo che si vuol difendere la popolazione civile, mentre sappiamo bene che quello che interessa la Francia sono i suoi interessi commerciali in Costa d’Avorio».
Padre Lunes, si dice che Gbagbo stia trattando la resa.
«Non mi risulta. So, invece, che gli uomini di Ouattara hanno preso la sua residenza, ma non lo hanno trovato. Quanto accadde con Saddam Hussein insegna: sarà nascosto in qualche nascondiglio segreto».
Nel suo bunker?
«Da quelle parti non parlerei di bunker. Forse in qualche costruzione vicina. Nel frattempo, le forze dell’Onu, insieme ai francesi delle truppe Licorne, hanno bombardato due caserme della Capitale, per eliminare le armi pesanti senza colpire la popolazione».
Che ne pensa di questa ingerenza francese?
«Credo che sia molto negativa, ma non dimentichiamo che anche se negli ultimi tempi è accaduto più raramente, i francesi sono sempre intervenuti in questo continente quando si verificava qualche problema politico. Non per niente, li chiamano i gendarmi dell’Africa. Utilizzando come pretesto la difesa della popolazione ivoriana, stanno in realtà tutelando i tanti interessi commerciali che hanno nel Paese in qualità di ex colonizzatori: a livello economico e industriale, tutta l’esportazione è in mano alla Francia. I cittadini francesi presenti in Costa d’Avorio sono stati portati in una località protetta. Il contingente della Licorne è stato rinforzato e i suoi militari sono subentranti ai caschi blu dell’Onu nel controllo dell’aeroporto. E anche se le operazioni sono coordinate da un africano, in realtà sono i generali francesi che hanno in mano la situazione e gestiscono la logistica e gli interventi».
Tornando alla popolazione civile, si è parlato di un nuovo massacro. Cos’è accaduto?
«Sono stati dati vari dati. Gli ultimi parlano di 300, 400 morti tra i civili. Ma è rischioso dare numeri, perché non ci sono ancora informazioni precise. Gran parte della popolazione è scappata nei villaggi di origine. Un missionario italiano mi ha detto che per motivi di sicurezza sono chiusi in casa da due giorni senza acqua né elettricità, anche perché sono stati liberati circa 5mila prigionieri, che adesso girano, disperati ed affamati, per la città di Abidjan».
A livello internazionale, Gbagbo può contare ancora su qualche appoggio?
«Al momento, credo proprio di no. Gbagbo, che non è mai stato favorevole alla Francia, aveva fino a qualche tempo fa l’appoggio del Sudafrica e della Bielorussia, che gli vendeva le armi. Adesso, però, credo che sia completamente isolato».
Ouattara, invece?
«Ouattara in passato era stato escluso dalle elezioni grazie ad una legge che impediva a coloro che non discendevano da ivoriani di candidarsi alle presidenziali (i suoi genitori sono del Burkina Faso). Lo stesso si è verificato alle elezioni del 2002, quando però i militari si sono ribellati, tentando un colpo di stato riuscito in parte, che ha portato alla divisione del Paese in due, con Ouattara a capo del Nord mentre Gbagbo rimaneva ben saldo nella Capitale. Ouattara è un economista, è stato vicepresidente del Fondo Monetario internazionale, è vicino ai francesi e gode dell’appoggio dell’Occidente. Anche gli Usa lo hanno riconosciuto subito come legittimo presidente».
A questo punto, cosa accadrà?
«Credo che purtroppo si arriverà all’attacco finale. Gbagbo ha atteso troppo a lasciare il potere, dalle elezioni del 28 novembre 2010, forse perché sperava di spuntarla. Nel frattempo, Ouattara è riuscito a far infiltrare i suoi uomini ad Abidjan. Dispiace che tanti civili siano stati costretti a lasciare le proprie case, che le città siano paralizzate, le industrie chiuse e il Paese fermo a livello economico. E purtroppo sono già morte troppe persone. Tutti noi siamo lì col cuore in mano e preghiamo affinché la situazione si risolva. Anche il papa ha inviato un messaggero, venerdì scorso, ma credo che ormai, da entrambe le parti, si sia perso il buon senso. Purtroppo, finirà con una presa del potere con la forza che sarà fatale per il popolo: ci sono tantissimi giovani contrari all’intervento dei francesi che stanno difendendo la Patria con coraggio e che saranno ammazzati in maniera stupida, è questo è il dispiacere di tutti noi».