La forza serena di Christo Jivkov
L’ho scelto perché ha degli occhi che comunicano spiritualità. Così Saverio Costanzo su Jivkov, protagonista de In memoria di me. In effetti, Christo, 32 anni, alto, sottile, parole misurate e gesti affabili, ha uno sguardo penetrante che colpisce. Regista e attore, gestisce una società di produzione a Sofia dove vive. In Italia è di casa. È apparso nell’ultimo film dei Taviani, lo si vedrà nell’Inchiesta di Giulio Base. Ma, avverte, come attore partecipo solo a progetti che mi piacciono. Un grande incontro l’ha avuto con Ermanno Olmi, ad un provino per Il mestiere delle armi nel 2001: Una persona morbida e calma. Ho avuto la sensazione che non fosse la prima volta che ci vedevamo e non sarebbe stata l’ultima. Infatti, quando ci siamo ritrovati ed ho provato la scena dell’amputazione della gamba, così, senza costume, è andata subito bene. Questo è il mio film più bello e faticoso. C’è stata una congiunzione tra Olmi, me e il personaggio di Giovanni dalle Bande nere, direi magica. Ci parlavamo con gli sguardi e ci capivamo. Perché Olmi è un maestro di vita e non solo di cinema. Da Olmi a The Passion, nel 2004, nel ruolo dell’apostolo Giovanni. Gibson mi è sembrato una persona speciale – racconta – che conserva lo stesso sguardo, la stessa umanità nei film e nella vita reale. Fa un lavoro incredibile con gli attori. Sa parlare e sa tacere al momento giusto. Abbiamo costruito un rapporto molto forte: stavamo soli in albergo, si cenava insieme, mi raccontava la storia di san Giovanni. Il lavoro era faticoso: la scena del Golgota l’abbiamo dovuta girare una decina di volte, alla fine a Cinecittà, perché a Matera il clima cambiava di continuo. Io ogni giorno pregavo san Giovanni di darmi la forza di avvicinarmi a lui nel migliore dei modi. Jivkov, uomo di fede? Sì – dice tranquillamente – sono credente. Spesso, passando davanti ad una chiesa, vi entro. Ci sono nella mia vita dei periodi dove non passa giorno che non pensi a Gesù . Lui è sempre stato con me, mi ha protetto.Certo, non ero così fin da piccolo, ma si tratta di una cosa venuta un poco per volta. Si capisce allora come Costanzo l’abbia potuto definire una icona di spiritualità . Ci siamo incontrati l’anno scorso con lui, mentre mi trovavo a Roma per un progetto internazionale. Anche se non ero preparato per il provino, ci siamo messi a parlare e ci siamo capiti. Poi, il 6 giugno, a Bologna abbiamo iniziato con gli altri attori gli esercizi spirituali dai gesuiti. Questo tipo di preparazione in verità non lo capisco, ma vedevo che era importante per Costanzo: l’ho fatto per lui. Sono stati giorni particolari: all’inizio era un inferno, ero disperato. Io sono un tipo che nel silenzio funziono anche meglio: non era questo a crearmi problemi, ma la consapevolezza di trovarmi in un luogo dove non conoscevo nessuno, un posto freddo, a fare un personaggio diverso da come sono io in realtà… senza poter comunicare con nessuno, perché abbiamo spento i cellulari.Ma mi sono buttato, mi sono sentito rinascere ed è stato, alla fine, un paradiso. Jean-Paul, il gesuita che lavorava con noi, ci ha detto che ha capito cosa significhi essere un attore. Cioè?, chiedo a Christo. Io faccio l’attore per scoprire l’anima umana – confessa -. Credo che l’attore sia un messaggero diretto tra il pubblico e il regista, un compito molto delicato. Anche pericoloso, perché per fare questo lavoro molto dipende da com’è la tua anima. Io, poi, amo quei film che rendono migliori gli esseri umani. Come regista, infatti, sto cercando una storia tutta mia che possa dir qualcosa alla gente, senza renderla triste. Ma lui, Jivkov, è un uomo felice? Credo di sì – risponde tranquillo -, sono quasi sempre in pace. Me la toglie il vedere le persone tristi per strada. Cosa dovrei fare per renderli contenti? Forse fare un bel cinema? (ride, ndr). Mah, ognuno nella vita deve compiere il suo percorso. Penso che noi siamo qui per prepararci a qualcos’altro dopo, perché credo ci sia un’altra vita, spirituale. Noi non la vediamo, ma c’è.