La forza e il talento di un ragazzo semplice
Adesso possiamo dirlo forte e chiaro: Rafa Nadal è tornato. In campo, lo si era già rivisto (e bene) a Viña del Mar, San Paolo e Acapulco (tornei, gli ultimi due, portati a termine vittoriosamente), ma era ad Indian Wells – sede del primo Masters 1000 stagionale – che il tennista iberico doveva dimostrare di essere ancora lui.
Da quello sciagurato 28 giugno 2012, giorno della clamorosa sconfitta col ceco Rosol a Wimbledon, l’ex numero uno del mondo si era infatti dovuto inchinare a un problema al ginocchio sinistro (noto come “sindrome di Hoffa”) che aveva minato le sue granitiche certezze e che rischiava di porre prematuramente fine alla carriera di uno dei più forti giocatori della storia. Mesi di lavoro a testa bassa, cercando di ritrovare quelle stesse sensazioni che lo avevano portato a vincere (tra gli altri) undici titoli dello Slam, l’oro olimpico di Pechino, 20 Masters 1000 e le Atp Finals 2010. Lunghe giornate di soli allenamenti, lontano dai trionfi e da campi – quelli in terra rossa di Parigi, Roma e Monte Carlo su tutti – divenuti talmente familiari da considerarli quasi come una seconda casa, e una miriade di pensieri sul futuro e su ginocchia troppo spesso ballerine.
Perché il gioco di Nadal necessita di doti atletiche notevolissime e di una perfetta integrità fisica: se vengono a mancare queste, Rafa è spacciato. Ecco spiegato il motivo di tanto lavoro, di tanta attesa: oltre sette mesi, da fine giugno a 2012 a inizio febbraio 2013, per rimettere in sesto un motore ultra-sollecitato che necessitava di una lunga e completa revisione. Poi, una volta iniziato a carburare, Nadal ha riproposto al mondo tutto il suo talento, stordendo gli avversari con quei celebri colpi da fondo carichi di effetto. Per conferma, chiedere a Juan Martín Del Potro, che dopo aver battuto nella semifinale di Indian Wells il numero 1 del ranking Novak Djokovic e aver vinto – in rimonta – il primo set della finale con Nadal, si è dovuto arrendere al veemente ritorno dello spagnolo, il quale si è lasciato definitivamente alle spalle ogni dubbio residuo conquistando il ventiduesimo Masters 1000 in carriera, uno in più di un certo Roger Federer.
E il sorriso è tornato a splendere sulle labbra di Rafa, spagnolo timido e riservato come se ne vedono pochi, gran lavoratore e sportivo vero. Leggendarie le sue sfide con Federer, una rivalità cresciuta con gli anni, ma limitatasi al campo di gioco, perché contornata da un enorme e sincero rispetto. Ragazzo semplice, Nadal, fidanzato da anni con la maiorchina (come lui) Xisca e allenato da sempre dallo zio Toni.
Schivo, si è detto, e dallo sguardo a volte triste: la separazione dei suoi genitori deve averlo scosso profondamente, così come le continue voci di un suo coinvolgimento nell’Operación Puerto, l’inchiesta sul doping che ha sconvolto lo sport spagnolo e mondiale. Campione di tennis, Rafa Nadal, e anche di solidarietà, deus ex machina della fondazione che porta il suo nome e che promuove progetti di inclusione sociale sparsi per il mondo: lui, che il mondo l’ha conosciuto grazie a una racchetta e a una pallina, vorrebbe farlo conoscere a tanti altri ragazzi meno fortunati. Bentornato, Rafa.