Summit dei leader spirituali in occasione del G8 de L'Aquila.
Crisi mondiale, immigrazione e sicurezza, proliferazione nucleare, preservazione del pianeta e delle sue risorse. Se ne è parlato a fondo a Roma a metà giugno. Alla Farnesina non c’erano Obama, Sarkozy e Putin, ma altri personaggi dai nomi, senza dubbio, meno famosi, ma con seguito ugualmente vasto: il card. Tauran, Aram I, patriarca armeno, Din Syamsuddin, musulmano, figura di spicco dell’Indonesia, Nichiko Niwano, buddhista giapponese, presidente della Rissho Kosei-kai, Swami Agnivesh, monaco indiano dell’Arya Samaj ed un centinaio di altri fra vescovi, rabbini, swami, uomini di religione, convenuti a Roma per il G8 dei leader religiosi.
Si tratta di un summit, che dal 2006 si svolge in concomitanza, o a ridosso, della riunione dei capi di Stato. L’iniziativa, presa allora dal patriarcato ortodosso di Mosca, si è rivelata un’intuizione originale e in questi anni ha acquistato forza e continuità.
I presenti, un vero microcosmo geografico, religioso, culturale ed etnico – con l’assenza, purtroppo, dell’Africa sub-sahariana – hanno dimostrato quanto il dialogo fra uomini di fede stia andando avanti. Le stesse questioni sul tappeto, infatti, sebbene globali, sono viste in prospettive assai diverse nei contesti culturali e sociali del mondo. Le posizioni sono spesso legate a trascorsi storici fra Paesi, etnie e tradizioni religiose.
Durante i lavori è, invece, emerso un consenso pressoché unanime verso le problematiche che l’essere umano, a qualsiasi latitudine, si trova a vivere oggi: la crisi mondiale della finanza ha colpito tutti, soprattutto i Paesi più poveri; i processi di migrazione stanno trasformando la faccia del pianeta e pongono seri problemi di sicurezza a diversi livelli; il pianeta mostra ferite pericolose per il futuro dell’umanità… È emersa, perciò, la necessità di affrontare i problemi sempre più come comunità mondiale, arricchita e non minacciata dai contributi e dalle ricchezze delle diverse nazioni, culture e religioni.
Proprio questa coscienza della necessità di affrontare i problemi insieme ha portato i presenti alla formulazione di nuove terminologie; shared security – sicurezza condivisa – è ad esempio un neologismo che esprime quanto tutti i leader religiosi avvertano che la sicurezza non può mai essere a spese o a scapito di altri, ma sempre cercata e raggiunta con tutti.
Sempre più – e lo faceva notare giustamente mons. Paglia, al termine dei lavori – «le religioni stanno trovando una nuova prospettiva che, conservando la loro diversità, permette di parlare una lingua comune per rivolgersi alla politica». E Menachem Hacohen, rabbino capo di Romania, sottolineava come solo qualche decennio fa le religioni non si conoscevano, si ignoravano e, spesso, si odiavano. Oggi è stato invece possibile raggiungere un consenso profondo su proposte e moniti da presentare ai capi di Stato.
Ha detto infine il presidente Napolitano ai partecipanti: «Se guardiamo alle cause di questa crisi, e guardiamo anche agli sforzi da mettere in atto per superarla, ci rendiamo conto che è essenziale un ristabilimento di valori spirituali e morali…
«Da chi può venire un contributo essenziale se non anche dalle grandi religioni mondiali?».
Dal messaggio finale
«C’è bisogno di una saggezza spirituale affidata alle grandi religioni mondiali per indicare una via etica per la giustizia e lo sviluppo umano.
«Il nostro metodo e la nostra forza, la forza di ieri, di oggi e di domani sarà sempre e solo quella della trasformazione dei cuori e dell’azione condivisa attraverso il dialogo, un’arte che ciascuno deve praticare e coltivare dentro e tra le religioni, le culture e la politica che richiede coraggio e rende le persone capaci di vedersi reciprocamente in modo più chiaro, permettendoci di offrire vita e speranza alle nuove generazioni».