La forza dell’amore nella malattia: la storia di Astrid
Suona il telefono. Astrid non vuole chiamare, ma solo mandarmi un messaggio e ha avviato la telefonata per errore. Si scusa, ma non è necessario: è una festa per entrambe sentirsi. Sembra ci fossimo lasciate ieri, invece sono già passati una dozzina di anni.
Mi parla della morte di suo marito. Ammalato di tumore al cervello, i medici non le hanno fatto mistero delle sue condizioni. Il verdetto è chiaro. Si tratta di quattro o cinque mesi di vita. I medici preparano l’intervento. È un’operazione delicata che coinvolge il cervelletto e quindi non possono allontanare del tutto la massa del tumore. «Ecco – dice Astrid – ci siamo trovati di fronte a una nuova fase del nostro matrimonio. Rimessosi un po’ dall’operazione, gli faccio una proposta: “Andiamo al mare e chissà che non ti faccia del bene”. Ha accettato e siamo andati in Sicilia, la terra di mio marito. Erano giorni sereni anche se lui faceva fatica a camminare. Abbiamo persino danzato insieme. Dopo un mese mi dice che non si sente più tanto bene e vuole tornare a casa e siamo rientrati».
Sono giorni, mesi di sospensione, di un lento peggioramento che è andato avanti per un anno e mezzo.
«Non ti dico che fatica – continua Astrid – io non avevo più forze. C’era chi mi diceva che avevo bisogno di riposare, almeno per una settimana, che dovevo riprendermi perché “lei non può andare avanti così!” . Ma io rispondevo: “Mio marito non vuole nessun altro”. Noi abitavamo in una casa a due piani e le stanze erano sopra. Tutte le sere lo portavo su e giù per le scale, avevamo un supporto elettrico, ma era difficile lo stesso. Un giorno ero così sfinita da non avevere più forze. A un certo punto si è reso necessario il ricovero in ospedale. E in quel tempo la mia giornata era un correre continuo. Al mattino le figlie andavano a lavorare, poi avevo da fare la spesa e ritornare in ospedale perché lui voleva la mia presenza tutto il giorno. E di nuovo di corsa a casa a fare il pranzo e ripartire per l’ospedale. Una corsa unica. Un giorno a casa mi sono messa proprio in ginocchio e piangendo ho gridato: “Signore Gesù, io sono alla fine delle forze, non ce la faccio più. Ho bisogno del tuo aiuto. Solo tu mi puoi aiutare, però spicciati, perché sto crollando, non ce la faccio più!”».
«In quel momento ho sentito come un fulmine che mi ha attraversato tutto il corpo e mi sono sentita come fuori di me non so per quanto tempo. Poi mi sono ripresa e avevo come una forza, una cosa incredibile che non so spiegare. Sono andata in ospedale serena, tranquilla. La sera poi è venuta la dottoressa e mi ha detto: “Signora, suo marito ha il cuore molto debole, forse stanotte morirà“. “Allora posso restare qui?”. Mi hanno dato una brandina e sono rimasta lì. La mattina la dottoressa è ritornata e ha detto: “Siamo vicini”. Allora l’ho preso sotto braccio, era in coma e gli ho detto: “È arrivato il momento di dividerci. Hai partecipato alla passione di Cristo, adesso ti sta aspettando. Un giorno ci rivedremo. Non so quando. Ti ho voluto tanto bene, riposa in pace, fai buon viaggio”. Gli ho dato un bacio sulla fronte. Lui che era in coma, ha aperto gli occhi e mi ha fatto un gran sorriso e ha emesso l’ultimo respiro».
«Ti dico che ero così serena con una pace nel cuore che non so descrivere. Una morte così bella! Voleva essere sepolto in Sicilia e allora lì ho consolato tutta la sua famiglia, i fratelli e gli amici. Dicevo loro: “Gli avete voluto tanto bene, ma io penso che ora sia molto più felice di quando soffriva così tanto, non dobbiamo piangere“».
Il modo con cui Astrid mi racconta questo suo delicato distacco mi commuove quasi e non posso che comprendere quale via Crucis abbia attraversato anche lei. Poi aggiunge: «Domani è il tredici, il giorno del nostro anniversario di matrimonio».
Capisco allora che la sua telefonata non era un errore, ma l`occasione di ricordarci che l`amore di Dio è immenso e che Lui sempre ci precede.