La forza della musica, dalla Val Badia a Roma
Mi trovo con Maria Irsara in un bar di un affollato angolo di Piazza Risorgimento a Roma. Un gelato ci aiuta a sopportare il caldo afoso. Maria è originaria di Pedraces, un piccolo comune della Val Badia, in provincia di Bolzano. Una valle che conserva la bellezza delle affascinanti vette dolomitiche ed è un incrocio di culture profonde: ladina, tirolese ed italiana.
Ci rivediamo con Maria dopo una quindicina di anni, dove proprio nella sua valle, nei primi anni del 2000, cominciai con alcuni amici un Festival, BadiaMusica, che con concerti, masterclass etc. ancora oggi anima l’estate musicale dei vari comuni dell’ Alta Badia.
Lei stessa (all’epoca adolescente) mi ricorda che in una di quelle estati fu quasi “costretta” per l’insistenza di un suo cugino, a saltare la vacanza al mare per partecipare alla Masterclass con il primo oboe del Maggio Musicale Fiorentino, il M° Marco Salvatori.
Da quell’incontro però Maria, con uno studio serio e profondo, è arrivata qui a Roma, nell’Orchestra di Santa Cecilia come solista di Corno Inglese.
Maria, hai lavorato diversi anni come “aggiunta” nell’Orchestra e dopo aver ottenuto l’idoneità, la stabilità a Santa Cecilia. Come ti trovi qui a Roma?
È stato difficile. Ci sono stati alti e bassi, alcuni momenti molto bassi (ride), a livello psicologico ho fatto fatica, per via della pressione che il ruolo ti mette. Ancora oggi mi sento come una “allieva” al confronto con i “maestri” che sono i miei colleghi. Chissà forse questo senso me lo porterò sempre, ma dall’altra parte mi serve, perchè mi fa studiare, mi fa essere tesa al migliorarsi sempre.
Ti ho sentita di recente a Santa Cecilia nei passi solistici della seconda sinfonia di Mahler diretta da Mikko Frank e lo scorso anno nella nona sempre di Mahler diretta da Antonio Pappano e La Mer di Debussy sotto la direzione di Mirga Gražinytė-tyla: non mi sembra che suoni come un’allieva…hai un bellissimo suono e suoni con grande personalità.
Grazie! Non so come dirti. Ho lavorato tanto su questa cosa negli ultimi tre anni. Mi sono fatta anche insegnare tecniche per riuscire a suonare più qui (indica il petto). Perché se parti dal cervello (se cominci a ragionare) sali già sul palco con il piede sbagliato. Quindi mi sto allenando, preparando tutti i giorni a capire cosa vado a fare.
Chi viene a sentirti al concerto – dai giovani agli anziani, magari persone che stanno male quel giorno – ecco, credo che noi musicisti abbiamo il bellissimo compito di poter far star bene magari per una, due ore le persone. Cerco di pensare a questo prima di tutto, e poi cerco di concentrarmi veramente sul trasmettere quello che voglio dire con la musica e lasciar da parte tutte le paranoie tecniche. Ma è un lavoro difficile, che va allenato. Io la vivo proprio cosi. E proprio in questo momento, mi prendi in una fase che sto lavorando su questo. Rifletto tanto, leggo, chiedo, ci sono persone esperte che mi aiutano, anche con esercizi pratici.
Quindi, dalla Val Badia a Roma, è stato uno shock?
Si, ma è stato graduale: ho iniziato ad andare via alle medie a Brunico, le superiori a Bolzano, poi lo studio con Marco Salvatori a Firenze, gli esami al Conservatorio di Livorno e adesso Roma. Molto graduale. Altrimenti sarebbe stato uno sbalzo quasi impossibile.
Una persona abituata a stare nella natura in un paese piccolo come la Val Badia, poi passa a questo caos!!Ma a me piace, ho bisogno di questo, non che io sia la persona che esce la sera o fa chissà cosa… ma ho bisogno della comodità della città.
Per dirti, quando torno a casa d’estate e non ci sono i miei, io vado a dormire da mia sorella perché ho paura di stare da sola in quella casa nel bosco (mi porto dietro una fobia da quando ero piccola). Invece in città, nel condominio non sono mai sola! È paradossale ma per me è così.
Allora non ti manca la Val Badia…
Diciamo che porto molto nella musica, quando suono, il contatto con la cultura delle mie origini; più che altro con la famiglia. Quando vuoi esprimere un sentimento ed hai un assolo che non sai bene se racconta una storia o se descrive qualcosa e tu vuoi esprimere magari nostalgia o gioia (soprattutto con il corno inglese ci sono sempre temi di intima espressione) vado sempre a finire a casa, a mia mamma. Quindi in un certo senso sono lontana, ma nella musica sono collegata con casa. Soprattutto se suoniamo Mahler o Strauss, questi compositori che stavano lì, dalle mie parti. In certi movimenti di sinfonie di Mahler – nella prima o terza – mi viene quasi la lacrima perché mi sento proprio a casa. Perché la musica è quella popolare di quei posti lì. Quindi, se non è il compositore che mi porta su dalle mie parti, mi invento io qualche storia da raccontare mentre magari ho un assolo; questo serve anche a distaccare il pensiero da cose inutili o troppo tecniche, più ti liberi da questo meglio è.
Sì, sono lontana ma comunque molto collegata in un certo senso. Devo dire che i miei genitori mi hanno sostenuta molto, sono stati coraggiosi a spingermi a rischiare di fare questa professione. Alla fine sono riuscita a trovare un lavoro che è molto difficile, i posti sono pochi. Mi hanno lasciata scegliere, correndo un grande rischio. Me ne rendo conto adesso! Non so cosa farei oggi con mio figlio, i tempi sono cambiati e non so se si va verso il peggio o il meglio.
D’altra parte in un modo o nell’altro la vita è sempre una sfida, non è facile per nessuna professione, e forse è giusto cosi: per ottenere grandi risultati la richiesta è alta.
Poi ci vuole anche fortuna: vedo tanti ragazzi ad esempio musicisti molto bravi, che però hanno una vita molto faticosa tra un’orchestra e l’altra; non capisci più dove sei, a chi appartieni. In questo senso io mi sento molto fortunata.
Torniamo all’orchestra, come si diceva all’inizio, con i colleghi c’è la tensione positiva a migliorarsi, ad essere sempre al top.
Certo è molto impegnativo stare dietro al ritmo dell’orchestra dove ogni settimana cambia il programma; devi farti il repertorio. Adesso, suonando pezzi già eseguiti in passate produzioni, comincio a capire come studiare: inizio molto tempo prima, in modo che anche gli assoli maturino.
Poi, secondo me per migliorarti devi ascoltare gli altri musicisti, anche se suonano altri strumenti. Osservo molto i miei colleghi e penso che siano lezioni gratis che loro mi danno senza saperlo. Cerco di ‘rubare’ tutto quello che si può. Devo dire che in generale con loro, soprattutto quelli più vicini a me (oboisti), sto molto bene, non ho problemi. Sono persone che mi hanno aiutata in questi anni: chi mi aiutava psicologicamente o tecnicamente. Se chiedo si fanno in quattro per aiutarmi.
E’ una fortuna, perché non so se dappertutto è così. Io non ho molta esperienza in altre orchestre, ma dai racconti penso che mi trovo in un bellissimo clima. Colleghi che si ricordano che noi siamo prima di tutto persone; questo è bello!
Recentemente mi è capitato di suonare con un’orchestra giovanile a Benevento: mi ha colpito il sapere che il Maestro Pappano sostiene personalmente questa orchestra. La sua famiglia è originaria di un paesino della provincia di Benevento. Come ti trovi con lui?
Lui è un musicista che mette sullo stesso piano la persona e la musica! Vive intensamente la musica, e tira fuori certe cose…
Mi è piaciuta tantissimo la nona di Mahler, e aspettavo il bellissimo finale, l’adagio; è stato cosi bello che mi ha fatto venir voglia di risentire subito altre interpretazioni di quell’adagio. Non per fare confronti. La musica è così ricca che ti svelerà sempre nuovi significati. I grandi interpreti sono anche delle grandi personalità.
Si! Sai che ho fatto lo stesso pensiero?
È stato bellissimo, riuscire ad entrare nell’anima dell’interprete. Poi ero seduto in una posizione quasi di fronte al direttore, quindi vedendolo potevo percepire ancora di più il legame tra il gesto e la musica. Ha toccato le corde intime delle migliaia di persone che erano al concerto.
È un direttore particolare, è un bel musicista, completo. Soffre con te, è sempre concentrato nella musica. Ti spreme come un limone però, fino alla fine! Richiede il massimo anche nell’essere espressivi: ti fa rifare, anche da solo, rifare tanto che alla fine ti senti sfinito. Però è bello, bello provare a fare quello che ti chiede. Pretende molto.
Cosa ti aspetti dal futuro, sia riguardo la sfera personale e sia nell’ambito della cultura musicale in Italia?
Ho voglia di fare musica e di maturare e migliorare sempre, come musicista e come persona. Spero di poter incontrare grandi musicisti che mi possano ispirare e nutrire della loro arte. In questi ultimi anni la vita del musicista non é sempre stata semplice, soprattutto in Italia, dove i tagli alla cultura sono stati notevoli. Spero veramente che tutto questo passi e che possano tornare tempi migliori per i giovani musicisti che sognano di poter fare questo mestiere ma ai quali viene sempre ripetuto di non rischiare questa strada perché non ci sarà mai un lavoro per loro.