La forza della coscienza di fronte alla guerra
Ringraziamo il professor Vincenzo Buonomo per quest’intervista che, ci tiene a precisare, è stata rilasciata nell’ambito della libertà accademica di esperto di diritto internazionale.
Perché l’Onu sembra assente nella tragedia della guerra in Ucraina?
L’Onu non è una realtà superiore agli Stati ma al servizio degli stessi che formano l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Può, quindi, operare in autonomia con riferimento alle funzioni che gli stessi Stati possono delegare o negare, come è avvenuto in questo e altri conflitti. Tra l’altro, il perseguimento della sicurezza internazionale può essere delegato anche ad organizzazioni regionali, di area come è, ad esempio, la Nato.
Quest’ultima sembra muoversi con autonomia assoluta sotto la guida Usa…
L’alleanza atlantica è tenuta a rispettare il capitolo ottavo dello statuto dell’Onu che richiede a tali organizzazioni regionali di agire in modo conforme «ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite» e di concerto con l’Onu. La sicurezza internazionale, secondo il mandato dell’Onu, si raggiunge attraverso il disarmo e il mantenimento della pace, lo sviluppo e la tutela dei diritti umani
L’adozione della carta dell’Onu nel 1945 ha significato “chiudere un mondo per aprirne un altro”. Non esiste ad oggi un’alternativa a quel sistema di regole pur di fronte alle gravi lacune e violazioni esistenti. Ad esempio, nel conflitto in Ucraina, come in tanti altri casi, è violato apertamente il divieto, concordato tra tutti gli Stati, di fare dei civili un obiettivo militare.
Come si esce da tale contraddizione?
Tanti sperano che tacciano le armi per aprire un negoziato, ma esistono già strutture che, se si vuole, possono garantire tale strada. L’Onu è stata tenuta fuori durante l’invasione angloamericana dell’Iraq nel 2003, ma è poi intervenuta per ricucire lo strappo dell’ordine internazionale. Mentre divampa il conflitto in Ucraina, si è aperto all’Onu un negoziato per porre fine alla guerra in Yemen. Sono segnali che mostrano volontà. Le Nazioni Unite pongono delle regole da rispettare nel conflitto. Il sacrosanto principio della legittima difesa ha un limite, come prevede la Carta dell’Onu, costituito dall’intervento delle Nazioni Unite. Sembra un concetto astratto ma è molto concreto nel voler realizzare il superamento della vendetta privata, come avvenuto con lo Stato moderno che ha assunto l’esclusiva della difesa dell’ordine pubblico.
Ma quando sarà operativo tale passaggio?
Non può avvenire dall’alto tramite grandi conferenze, ma con la determinazione di un’opinione pubblica cosciente, informata, ma soprattutto formata. In molti non tengono conto che per mantenere la vita sul pianeta non si può far ricorso alla forza delle armi.
Di fatto siamo davanti al terrore della deterrenza dell’arma nucleare…
Ci eravamo illusi di uscire fuori da questa logica con la caduta del muro e dei blocchi, ma così non è avvenuto. Ritengo difficile che si giunga ad attivare davvero i codici per il lancio dei missili nucleari, ma l’incubo è tornato.
Anche perché è in costante crescita (2100 miliardi di dollari nel 2021) la spesa globale in armamenti…
È necessario porsi delle domande in merito. A chi serve? Come mai le industrie belliche sono tra le poche a macinare profitti attraendo risorse che andrebbero usate per prevenire le cause dei conflitti a partire dalle forti diseguaglianze? Basta aprire il sito del Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) per leggere tutti i dati… sconfortanti.
Ha senso insistere sull’adesione al trattato Onu di abolizione delle armi nucleari del 2017 nonostante la contrarietà delle grandi potenze atomiche?
Anche quando i trattati hanno un numero basso di adesioni, esprimono principi destinati ad avere un effetto, di certo nel lungo periodo. Quando fu approvata la Dichiarazione dei diritti umani nel 1948, alcuni parlarono di utopie senza prospettive, mentre ora quei concetti sono fondamentali per tutti.
Francesco condanna l’aggressione russa, ma afferma, citando l’espansione progressiva della Nato ad Est, che la responsabilità della guerra non è solo di una parte…
Il papa è molto chiaro nell’affermare che non si possono risolvere questioni e conflitti con l’uso della forza ma solo in modo pacifico, mediante trattative e ragione. È la posizione della Chiesa a partire dall’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXII. Le cause dei conflitti vanno lette e affrontate con gli strumenti della diplomazia. Continuare a combattere non serve a trovare la soluzione, ma serve soltanto a rendere più lontano l’obiettivo. Perché non destinare le energie per agire sulle cause delle guerre?
Eppure, in Occidente, il paragone tra Hitler a Putin giustifica la ricerca della vittoria definitiva…
C’è stato, è vero, chi ha vinto e chi ha perso nel secondo conflitto mondiale, ma i problemi e le lacerazioni sono rimaste in piedi pronte da esplodere. L’uso della forza può portare alla vittoria di qualcuno contro l’altro, ma non sempre alla vittoria corrisponde una ragione che assicura la continuità in modo pacifico della convivenza tra le persone.
Si torna così alla riforma dell’Onu…
Occorre mettere assieme i rappresentanti degli Stati e quelli della società civile. La coscienza collettiva sull’ambiente è cresciuta a partire dal summit sulla Terra promosso dall’Onu a Rio del 1992 che diede voce alle realtà sociali. Il cambiamento parte dal basso se si ha una solida formazione capace di rispondere alle obiezioni dei “tecnici”. Cosa impedisce di fare quanto accaduto per l’ecologia anche per la pace?
BOX
È possibile una giustizia internazionale?
Su iniziativa dell’Assemblea generale dell’Onu è stato approvato a Roma nel 1998, ed entrato in vigore il 1° luglio 2002, lo statuto della Corte penale internazionale (Cpi). Vi aderiscono 123 Paesi su 193. Cina, Russia, Usa, Israele, India sono tra i 32 Stati che sono al momento fuori dal trattato.
La Cpi ha sede all’Aja, nei Paesi Bassi. È competente a giudicare il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione commessi sul territorio e/o da parte di uno o più residenti di uno Stato membro, nel caso in cui lo Stato in questione non abbia le capacità o la volontà di procedere in base alle leggi di quello Stato e in armonia con il diritto internazionale. La giurisdizione della Cpi si esercita nel caso di crimini commessi sul territorio di uno Stato parte o da un cittadino di uno Stato parte. L’Italia è tra i 42 Stati che hanno richiesto alla Cpi di investigare sulle atrocità in Ucraina.
I limiti di competenza della Corte impediscono una giustizia internazionale fondata sul rispetto dei valori umani?
«Dire che la Corte penale internazionale non può intervenire – afferma il giurista Vincenzo Buonomo – è un modo per gli Stati di sottrarsi al principio fondamentale di porre a giudizio i crimini internazionali perché ogni Stato, a prescindere dalla Cpi, per il principio di giurisdizione universale ha l’obbligo di perseguire coloro che commettono tale crimini.
Siamo davanti alla stessa impunità decisa a Versailles dai Paesi che, dopo la prima guerra mondiale, rinunciarono ad istituire un tribunale per perseguire crimini odiosi come l’uso dei gas nelle trincee, sostenendo: non possiamo giudicare un nostro “pari”».