La forza del sogno
Mi è capitato poco tempo fa di leggere una scritta su un muro: «Solo sognare ci terrà svegli». Subito ho pensato a quanto di vero questo apparente paradosso contenga. In un tempo in cui i sogni rischiano di spegnersi sotto le emergenze di un presente impoverito, in cui tutti siamo spaesati e tendiamo a rattrappirci e intorpidirci nell’attesa di un improbabile “ritorno alla normalità”, quella del sogno è una dimensione liberante, che ci proietta in avanti, che riapre gli orizzonti oltre le nostre limitate aspettative. «Siamo figli dei nostri sogni, di ciò che non vediamo e non possiamo verificare», scriveva Maria Zambrano.
Il sogno libera dai limiti della situazione, li relativizza. Ci rende ampi. In fondo il sogno è uno spazio di comunicazione in cui l’io è silente, ricettivo a un messaggio che viene da altrove e che ci mette in cammino, in modo inedito, fuori dalle nostre coazioni a ripetere e dalle convenzioni sociali. Penso a Giuseppe che voleva ripudiare Maria in segreto, perché era un uomo buono, ma che poi in sogno riceve il mandato di accoglierla e di accompagnarla nell’avventura della salvezza. O al sogno dei Magi, che li invita a prendere “un’altra strada”.
Il sogno è da sempre questo spazio di dialogo con una dimensione altra. Il luogo di una ricezione che ci rende audaci, che ci fa sfidare il “si è fatto sempre così”. E per questo apre la possibilità di una libertà nuova: quella che consiste nel dare inizio a qualcosa che non c’è ancora e che siamo chiamati a realizzare. Una libertà contributiva.
Nel sogno la voce dell’infinito ci parla e ci invita a vivere nell’ampiezza. In Fratelli tutti papa Francesco parla di Dio come di un padre fecondo, che suscita in noi il sogno di una società fraterna (FT 4).
I sogni vanno raccontati. I sogni condivisi ci uniscono e ci sostengono nel cammino attraverso le difficoltà. «La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni», diceva Pier Paolo Pasolini. E ancora papa Francesco scrive che «è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo» (FT 157). La Preghiera al Creatore, al termine dell’enciclica, si chiude proprio con questa invocazione: «Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace».
Sognare non è perciò evasione dalla realtà e rifiuto di misurarsi con le sue sfide. Al contrario, è riconoscere che la realtà è più di ciò che vediamo e che non è inamovibile, non ci sovrasta, ma può sempre essere abitata diversamente, con audacia creativa.
Lo dice bene Octavio Paz in pochi, bellissimi versi: «Bisogna dormire con gli occhi aperti, bisogna sognare con le mani… Bisogna sognare a voce alta, bisogna cantare fino a che il canto metta radici, tronco, rami, uccelli, astri».