La forza del noi

Per vincere sulle mafie, che per prosperare puntano sulla paura dell'io, la proposta di don Luigi Ciotti, ripresa a LoppianoLab, è la legalità promossa dalla comunità
Maria Teresa Morano

«Mi fa male vedere un uomo come un animale», canta Franco Battiato nel brano Povera patria. In Italia crescono gli omicidi compiuti dalla criminalità comune e da quella organizzata. 31 sono i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose tra cui un capoluogo di provincia come Reggio Calabria. La criminalità percorre da tempo anche le autostrade del Nord e in Liguria sono due i comuni già sciolti per 'ndrangheta e, con Sedriano, ci potrebbe essere il primo ad avere questo destino anche in Lombardia.

A Loppiano Lab, nel laboratorio centrale del sabato pomeriggio, dal titolo Far emergere la legalità sommersa, s’incontra un’Italia meravigliosa, ma dimenticata dalla cronaca. Quante scelte controcorrente, coraggiose, impensate che hanno sfidato la "mafia dell’io" contro la "legalità del noi".

«L’io è quello delle mafie, delle tirannie, delle dittature – spiega il magistrato Giuseppe Gatti, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Bari – che hanno una loro legalità basato sulla legge del più forte, in cui il rapporto è scontro. A tutto ciò si oppone la legalità del noi in cui l’altro è dono, compagno di viaggio».

Tra le tante storie, come il racconto vibrante di Maria Teresa Morano di Cittanova in provincia di Calabria. Il pizzo, i rituali dell’intimidazione, la paura fanno irruzione in casa sua, nella vita tranquilla di una famiglia di piccoli imprenditori. Siamo nel 1992, all’età della pietra della rivolta della società civile, che aveva ancora metabolizzato solo la protesta degli imprenditori di Capo d’Orlando. Il papà di Maria Teresa, allora solo 24enne, denuncia i suoi estorsori e sfida il fatalismo.

«Non pensavamo mai – racconta Maria Teresa – di diventare bersaglio di qualcuno. Ho avuto paura. Ma con tante altre famiglie, quelle di 11 imprenditori, abbiamo denunciato i criminali e, insieme, abbiamo ritrovato la forza del noi e non la paura dell’io». Oggi alcuni dei criminali condannati per quelle estorsioni sono ancora in carcere e la denuncia ha aperto una via al coraggio di centinaia di imprenditori e a migliaia di denunce. «Attraverso la forza del noi – aggiunge – si è individuato un modello con cui confrontarci con la criminalità senza essere vulnerabili».

Oggi il cerchio si allarga ai consumatori, che possono scegliere di non acquistare dove si paga il pizzo. Con il consumo critico il cittadino comune diventa corresponsabile della legalità e Maria Teresa Morano, architetto, continua la sua battaglia grazie alla Federazione italiana antiracket, coordinando l’associazione calabrese.

Tutto può essere filtrato dalla mafiosità, anche in terre non sospette come la Toscana. Basti pensare alla crisi di liquidità che investe famiglie e aziende e crea il bisogno di un flusso di denaro immediato senza la via crucis delle banche che hanno il braccino troppo corto.

Si apre così un mercato dove «i singoli usufruiscono di vantaggi – dice don Andrea Bigalli, coordinatore di Libera Toscana – perché hanno bisogno del credito. Ma per onorare i debiti c’è l’avallo delle mafie, che per la riscossione arrivano a impadronirsi delle attività». Sono affari loschi che arrivano a coinvolgere amministrazioni locali nel giro occulto dei subappalti che sfuggono al gioco del massimo del ribasso.

«A Firenze, poi – aggiunge don Bigalli –, gli appalti si vincono al Sud senza che ci sia modo di controllare le filiere. Sono meccanismi con cui le mafie ristrutturano i meccanismi di riciclaggio del denaro, filtrato e ripulito anche con sistemi non necessariamente illegali».

Segni di speranza si ritrovano ovunque, anche nel martirio di don Puglisi, ucciso a Palermo nel 1993, perché svegliava le coscienze puntando sull’educazione dei giovani e, come diceva il giudice Caponnetto, capo del pool antimafia di Falcone e Borsellino, «la mafia teme la scuola più della giustizia».

Valori promossi e vissuti anche dai giovani dei Focolari che hanno promosso un Cantiere per la legalità con 600 giovani a Caserta, primi costruttori di un noi che chiama tutti all’azione per sconfiggere davvero la logica criminale del sopruso e della violenza.

Legalità quotidiana che non trova spazio nei media nazionali, ma che Gianni Bianco, nel corso del suo lavoro come giornalista del Tg3, ha saputo raccogliere e sedimentare in un libro scritto a quattro mani con il magistrato Giuseppe Gatti, dal titolo La legalità del noi (Città Nuova). «Ho voluto custodire – dice nel suo intervento a LoppianoLab – quella parte d’Italia che altrimenti perdiamo, per generare un briciolo di speranza nelle nuove generazioni».

«I giovani – ha scritto di recente don Luigi Ciotti – sentono che dopo tanto io, tante bugie, tante esteriorità, è venuto il momento di costruire il tempo del noi, con i suoi vasti orizzonti e le sue asperità, le sue altezze e le sue profondità. Un tempo – concludeva – che chiede a tutti un supplemento di anima e coraggio».

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