La fortuna e la virtù
Oggi assistiamo a un grande revival della fortuna. La ricerca della felicità è sempre meno legata alla virtù.
Uno degli elementi più importanti nella nascita della civiltà occidentale è stata la contrapposizione tra fortuna e virtù. Nel mondo mitico greco esisteva uno stretto rapporto tra felicità e fortuna: era considerato felice chi aveva dalla sua parte un buon (eu) dio (daimon). Socrate e la grande stagione filosofica greca affermarono invece che la felicità, la fioritura umana, dipende dalle virtù e non dalla fortuna. La virtù vince la cattiva sorte. Su questo si è costruita tutta l’etica personale e collettiva dell’Europa che, grazie anche al grande evento cristiano, ha affermato che la vita buona, la felicità, dipende dalla capacità di coltivare le virtù, dal nostro impegno e dalla nostra responsabilità.
Oggi assistiamo invece a un grande revival della fortuna. La ricerca della felicità è sempre meno legata alla virtù, al lavoro in particolare, e sempre più alla fortuna, al gioco, alla sorte. Proliferano trasmissioni basate su promesse di arricchimenti facili, gratta e vinci, lotterie, slot machine, lotto, telepoker.
La crisi finanziaria ed economica è anche espressione di questo revival di cultura arcaica, e dell’allontanamento dall’idea delle virtù e dal lavoro. La nostra Repubblica nasce fondata sul lavoro, una tesi che racchiude secoli di civiltà nei quali l’Occidente e il cristianesimo avevano affermato che la ricchezza che non nasce dal lavoro umano non porta normalmente felicità individuale e collettiva. Oggi invece questa cultura della fortuna (che va assieme alla magia e all’astrologia, altri ambiti in forte crescita, altri ambiti neopagani) ci sta promettendo, illudendoci, che ci si possa arricchire senza lavorare, ma trovando un investimento fortunato, o vincendo una lotteria. Non c’è una grande differenza culturale tra chi consuma sistematicamente gratta e vinci e chi specula in borsa: è la cultura della fortuna che si sta prendendo la rivincita sulla cultura della virtù. Si uscirà da questa crisi lavorando, meglio e insieme, rilanciando una stagione di virtù pubbliche, di beni collettivi, di progetti comuni. Se così non sarà, continueremo ad attenderci la salvezza da fuori, e rimanderemo ancora il tempo della responsabilità, individuale e collettiva.