La forte fede degli atei

Lucia e Annamaria, due insegnanti unite dalla loro sensibilità nei confronti degli studenti più vulnerabili, riescono a far parlare senza inceppi i balbuzienti, i più timidi acquistano fiducia in loro stessi, i ragazzi migranti diventano protagonisti. E anche la loro vita si trasforma, passando dalla sofferenza alla gratitudine
Foto Pexels

Con Lucia, nome inventato, ci siamo conosciute a scuola in un periodo abbastanza delicato della nostra vita. Io, insegnante di lettere, rientravo dopo un congedo preso per un lutto familiare. Lei era supplente del docente di educazione artistica. Entrambe, per motivi diversi, ci sentivamo un po’ spaesate e non pronte. Lucia, bellissima donna, innamorata della sua materia, sposata da due anni con Andrea, medico, di qualche anno più grande di lei, soffriva perché non riusciva ad avere bambini.

Siamo diventate subito amiche, progettavamo e realizzavamo insieme attività per i ragazzi d’accordo con il collegio docenti. Fu nostra l’idea di progettare “Teatro amico” per favorire l’integrazione di alunni molto timidi, o con lacune scolastiche, oppure stranieri non ancora del tutto inseriti.

Ci si trovava in un locale messo a disposizione gratuitamente da alcuni frati nostri amici e, in cambio, insieme per due volte alla settimana servivamo il pranzo alla mensa dei poveri, gestita da uno dei due frati. Tutto questo richiedeva tanto tempo, oltre quello da dedicare alla scuola come docenti: occorreva imbastire un copione, assegnare le parti, preparare i ragazzi che si esibivano durante uno spettacolo in una serata aperta a tutti, l’ultimo venerdì di ogni mese.

Si può dire che vivevamo in simbiosi. Ricordo quante telefonate, scambi di idee, risate…, ma anche stanchezza, imprevisti, prese in giro da parte di qualche nostro collega. Portammo avanti il progetto con tenacia e ottenemmo un inaspettato successo. I genitori poi erano entusiasti nel vedere i propri figli, prima in difficoltà per vari motivi, acquisire sicurezza e scioltezza nel recitare strappando applausi e lodi.

Nacquero in questo modo forti legami di amicizia, ma soprattutto gli “attori improvvisati” adesso a scuola andavano bene e, uno che prima soffriva di balbuzie, ora parlava lentamente, ma senza incepparsi. Il progetto teatro nato con grande semplicità per “rasserenare” adolescenti in crisi, favorì in realtà l’inclusione, la solidarietà, il rispetto per le diversità.

Io e Lucia, io calabrese lei veneta, ormai ci sentivamo sorelle, pur tanto diverse per età, carattere, ecc. Lei era atea, contraria alla Chiesa, ai vari movimenti ed associazioni ecclesiali, eppure io la trascinavo nelle mille iniziative del Movimento dei Focolari, a vendere libri, torte per raccogliere aiuti, a leggere Città Nuova, ecc.

Un giorno mi confessò che lei e suo marito volevano tentare la strada dell’inseminazione artificiale e mi chiese cosa ne pensavo. Era il 9 marzo, festa di S. Domenico Savio! Le proposi perciò di ritrovarci insieme a fare una novena a lui, al mattino, prima di entrare in classe. Pensò che fossi matta: era atea! Mi disse: «Prega tu per me!». Ma fui irremovibile: «Cosa ti costa dirmi sì? Gesù ha detto: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro”, senza specificare due credenti, due religiosi, due bravi… “Se due si accorderanno sulla terra per domandare qualunque cosa, questa sarà a loro concessa dal Padre mio che è nei cieli”». Mi guardò come se mi vedesse per la prima volta! Il giorno dopo iniziammo la novena…

A fine aprile scoprì di essere incinta: in dicembre nacquero due gemelli e due anni dopo una bimba. Intanto, mentre Lucia aspettava i suoi gemelli, io decisi di andare in pensione qualche anno prima del tempo. Quanti momenti abbiamo condiviso! Anche i nostri mariti, inevitabilmente, divennero amici.

Lucia era luminosa, felice: si era riappacificata con suo fratello dopo anni di lotte a causa di una villa che avevano ereditato; aveva scoperto la bellezza di un Dio vicino, voleva diventare volontaria come me; i bimbi crescevano bene. Poi si ammalò di un tumore e, nonostante i suoi 46 anni, nonostante gli sforzi fatti da suo marito medico per salvarla, non ce la fece.

Ricevette l’Eucarestia: volli che gliela portassi io. In quel momento sentii che era stata lei, da sempre, la più vicina a Dio, la vera pura di cuore. Appena scoperta la gravità della sua condizione, con grande semplicità, si era affidata a Lui per i suoi figli, per suo marito, i suoi parenti ed amici. Compresi, per la prima volta, quella pagina del Vangelo: «Non chiunque mi dice “Signore, Signore” entrerà nel Regno dei cieli…».

Lucia era serena quando morì cinque anni fa in un giorno come oggi. La lettura del Vangelo parlava della casa sulla roccia… Cadde la pioggia, soffiarono i venti, e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde. Lei, che si professava atea, aveva in realtà nostalgia di Dio, di un Dio vicino, dal volto umano, ma non voleva che se ne parlasse troppo e che fosse presente in ogni frase e in ogni pensiero. Io che ero credente lo volevo “migliorare”, pretendevo che mi accontentasse.

Ho capito, nel buio fitto di un dolore profondo, che Dio è la luce del mondo, pronta ad illuminare ogni angolo del mio essere, ma devo lasciarGli carta bianca, come aveva fatto la mia amica Lucia.

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