La forbice sulle spese superflue

È tra le riforme più innovative del governo Monti. Ma conviene attendere i risultati effettivi.
Mario Monti con Enrico Bondi

Ci risiamo. Borse in bilico e spread alle stelle come nulla fosse stato. A otto mesi dall’insediamento, il bilancio del governo Monti sotto la specie della tenuta finanziaria è simile a quello precedente; anzi, alcuni dati macroeconomici risultano persino peggiorati (decrescita e disoccupazione, specie giovanile, sopra tutti). Avventurarci nelle cause è operazione da economisti o al più da politologi. Una considerazione però si può trarre: i supereroi sono roba da fumetti pre-adolescenziali. Né super-Silvio, né super-Mario da soli possono nulla. Chissà quanto della reale situazione del Paese è stato acquisito dalle nostre coscienze, quanto cioè dei sacrifici con i quali ci troviamo a fare i conti sappiamo ricondurre alla situazione di sostanziale fallimento in cui versa la finanza pubblica. Sarebbe d’obbligo chiosare con un «il peggio deve ancora venire», ma non ci si può abbandonare al pessimismo.
Il governo Monti, comunque sia, alcune riforme le ha intraprese e l’ultima, quella che dà mano alla spesa pubblica, è tra le più innovative, se non nella finalità (diminuzione della spesa pubblica) almeno nel metodo, l’oramai famosa spending review, cioè l’analisi capitolo per capitolo del bilancio dello Stato e l’individuazione delle spese superflue. Un lavoro appena avviato e che ha fruttato un primo decreto-legge, che però lascia scettici i più competenti in materia.
 
Per cominciare, vediamone i contenuti. Ottenere risparmi è lo scopo delle norme, che agiscono in molti ambiti: dagli affitti degli immobili pubblici da rinegoziare e diminuire del 15 per cento, al taglio delle piante organiche nelle amministrazioni pubbliche; dalla stretta generalizzata sulle auto blu alla soppressione di enti. Di grande interesse per tutti noi la sanità: la riduzione della spesa sanitaria si ottiene puntando a diminuire il rapporto posti letto/numero degli abitanti (che deve assestarsi su 3,7 per mille abitanti) e contenimento della spesa per farmaci.
Un capitolo a parte riguarda gli interventi nel settore della giustizia; oltre a corposi tagli ai costi delle intercettazioni telefoniche, parte un imponente piano di ristrutturazione della rete degli uffici giudiziari, che porterà alla soppressione di 37 tribunali, 38 procure, 220 sezioni distaccate e 647 giudici di pace. Al disagio procurato dalla chiusura di un così gran numero di sportelli, dovrebbero corrispondere una maggiore razionalizzazione delle competenze e un’accresciuta efficienza del sistema. Lo speriamo!
Stessi obiettivi che si vuol perseguire dando corso (qualcuno dirà finalmente) alla soppressione di province, ben 60, basata su criteri di estensione territoriale e popolazione; a questa riduzione si accompagna poi la nascita di dieci città metropolitane.
 
Nonostante questi tagli, che peseranno poco o tanto nelle vite di tutti i cittadini, la finanza pubblica resta ad altissimo rischio. La prima causa è il debito pubblico, che sfiora i duemila miliardi, 1.966,3 per l’esattezza, conteggiati a maggio 2012, che rappresentano anche il record assoluto. Il neoministro dell’economia Grilli ha annunciato un piano per l’abbattimento che ruota attorno alla vendita di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno, ma, se non si arresta l’emorragia, anche privarsi del patrimonio pubblico può risultare inutile.
La situazione è stata ben illustrata dal capo dello Stato, che ancora di recente è tornato a esortare il Paese, tutti noi, a vivere questo momento di crisi con spirito di sacrificio, che vuol dire anche rivedere gli stili di vita, non solo raggranellare il necessario per pagare l’Imu. Ancora, un altro richiamo del presidente Napolitano mette il dito in un’altra piaga: «Vecchi privilegi, protezionismi a senso unico, assurde discriminazioni», come ha definito alcuni vizi italici, che «generano diseguaglianze e relegano risorse preziose e capacità umane fuori dal circuito di sviluppo e crescita del Paese». Di più: generano anch’essi debito pubblico. Ecco quindi un richiamo che possiamo fare nostro e che coinvolge direttamente il rapporto tra politica e cittadini, da reimpostare con questi criteri di disinteresse e trasparenza.

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