La follia della guerra e il coraggio della fraternità
«Solo un dissennato non sarebbe preoccupato in un momento così. Dobbiamo chiedere all’Europa uno sforzo. Si vis pacem para pacem».
“Se vuoi la pace prepara la pace”. Non la guerra. Sulla prima pagina de La Stampa di domenica 24 marzo 2024 il direttore Andrea Malaguti ha riportato queste parole di saluto che gli ha rivolto il cardinale Matteo Zuppi dopo l’incontro che si è tenuto il pomeriggio del giorno prima a Bologna incentrato su “Il coraggio della fraternità. La pace nel messaggio di Chiara Lubich”.
Nulla di teorico in verità. Il messaggio è la vita stessa del Movimento dei Focolari sorto a Trento sotto le bombe del 1943 e diffuso quale esperimento planetario di fraternità in stretta collaborazione con le realtà di ogni credo e cultura. Strana la sua origine a partire dal carisma ricevuto da una donna, una giovane maestra nata nel 1920 in una famiglia di socialisti, in un tempo a fronte impronta maschilista. «Si parla oggi del poco spazio riconosciuto alle donne nella Chiesa, figuriamoci allora» ha esordito nel suo intervento l’arcivescovo Zuppi che tutti chiamano don. È difficile dargli del lei o usare titoli ierocratici. È come un compagno di scuola di cui ti fidi, a prescindere dal fatto di condividerne le convinzioni.
Malaguti, chiamato a fare da moderatore all’incontro, ha confessato di cercare spesso Zuppi per confrontarsi su ciò che accade in uno scenario che appare sempre più apocalittico. Nel suo editoriale domenicale ha preso di mira «Il presidente del Consiglio, Charles Michel, che manda in giro una lettera il cui titolo esplicito è: si vis pacem para bellum. Dopo duemila anni siamo sempre lì. Ma a nome di chi parla, di grazia? Con chi si è confrontato? A chi ha chiesto il permesso? Il Vecchio Continente è un arcipelago di leader zoppi, divisi, confusi, concentrati a rimirarsi l’ombelico in attesa del 9 giugno» (data elezioni parlamento europeo, ndr).
Scenari che si fanno sempre più inquietanti davanti alle macerie del concerto di Mosca dove si è consumata un’altra orrenda strage di persone inermi.
Solo chi non resta irretito come un sonnambulo davanti al precipizio che si apre davanti all’umanità, riesce a capire che esiste un unica alternativa possibile: «Ero a Bologna, ieri – scrive il direttore de La Stampa- Per un convegno su Chiara Lubich a ottant’anni dalla fondazione dei Focolari. “Che tutti siano uno”, Giovanni, 17, 21. Frase magnifica. Non sono particolarmente religioso, ma non è questo il punto».
La domenica delle Palme papa Francesco è rimasto in silenzio. Non ci sono più parole davanti allo strazio dei conflitti incorso e alle arneficine decise sui tavoli del potere che nel 2014 il papa ha chiamato “pianificatori dell’orrore”. “Alzate la bandiera bianca e trattate per fermare la strage!” Ha ripetuto in questi giorni Francesco attirandosi le accuse della propaganda di guerra. Ma anche nel consiglio di sicurezza dell’Onu è arrivato infine il voto per chiedere il cessate il fuoco sulla Striscia di Gaza ad un passo, dopo oltre 30 mila vittime seguenti all’eccidio del 7 ottobre in Israele, nell’imminenza del bombardamento annunciato sulla città di Rafah dove si accalcano oltre un milione di sfollati senza il cibo e i medicinali bloccati al confine con l’Egitto.
È una figlia della martoriata Terra Santa, che chiama la “mia patria, Margaret Karram, palestinese e cittadina israeliana, la presidente attuale del Movimento dei Focolari. Ha inviato un lungo messaggio per il convegno di Bologna incentrato sull’importanza del dialogo, un termine che appare eclissato nelle parole d’ordine contemporanee.
Il suo intervento parte dalla realtà: «Siamo tutti dolorosamente consapevoli dell’attuale scenario mondiale» in cui «diventa difficile parlare di pace e pronunciare parole come fraternità o perdono. Oggi si parla piuttosto di “pace impossibile”, di “pace armata”, convinti che sia la guerra l’unica via che permette una convivenza cosiddetta pacifica; per non parlare della speranza, che è ritenuta un concetto banale e astratto».
Il coraggio della fraternità richiesto dal papa per il Medio Oriente, scrive Karram, «domanda di correre un rischio, quello di vivere il comandamento che Gesù ha definito “nuovo” e “suo”: “Amatevi come io vi ho amati”. Potrebbe sembrare banale o un atteggiamento troppo semplicistico nella situazione di polarizzazione che tanta parte del mondo sta vivendo, ma – ne sono convinta – bisogna ripartire toccando il cuore di ogni persona, costruire ponti per risvegliare nell’altro la coscienza e formarla al bene, a pensare secondo le categorie della pace; a sostenere il disarmo, cominciando dal cuore».
A smontare le stanche categorie sulla guerra ci ha pensato l’intervento di Pasquale Ferrara, studioso di tempra ora ai vertici della diplomazia italiana, autore di testi su Bergoglio e la politica internazionale e di quello recente pubblicato da Città Nuova (“Cercando un paese innocente”) dove dimostra la banalità del motto “se vuoi la pace prepara la guerra” o di quello attribuito a von Clausewitz sulla guerra come continuazione della politica con altri mezzi, mentre ne è il più tragico dei fallimenti.
Ferrara ha messo in evidenza, tra l’altro, che proprio il terrificante bombardamento di Trento del 7 settembre 1943 segnò l’escalation dei bombardamenti sui civili nel secondo conflitto mondiale. Quindi, proprio mentre si segnò la svolta della strategia militare giunta fino all’uso estremo dell’atomica, in quella città italiana nasceva una realtà fondata sulla fraternità che abbatte ogni frontiera.
Segni dei tempi da cogliere oggi. E Bologna è un laboratorio vivente di un’umanità che resiste alla logica della guerra che l’ha ghermita nella sua storia. Il suo splendido centro popolato in un sabato di primavera è stato teatro dell’interventismo più estremo e violento a favore del primo conflitto mondiale in quella stessa piazza del Nettuno dove il primo gennaio 2024 si sono radunati assieme alle autorità civili, i rappresentanti delle chiese, a partire dal cardinal Zuppi, delle comunità islamiche e di quelle ebraiche per chiedere di fermare l’ennesima strage degli innocenti.
Il sindaco Matteo Lepore nel suo intervento iniziale al convegno sul coraggio della fraternità ha messo in evidenza la lunga tradizione di impegno civile per la pace con figure emblematiche quali Ettore Tarozzi, tra i promotori con Aldo Capitini della marcia della pace Perugia Assisi, e l’importante percorso della scuola di pace di Montesole, legata alla memoria della strage di Marzabotto, una delle pagine più inquietanti e buie del nazifascismo. Non è un caso quindi il fatto che l’attuale assessore all’istruzione abbia anche la delega alla nonviolenza considerando la pervasività della cultura della guerra dentro le scuole.
È da Bologna che sono partite, inoltre, le carovane Stopthewarnow dirette in Ucraina con una delegazione bolognese del Portico della pace dove il Movimento dei Focolari è presente e attivo.
Quel fuoco acceso a Trento, che alimenta il coraggio della fraternità, non può essere culto delle ceneri e, infatti, Cristiana Formosa, co responsabile nazionale del Movimento dei Focolari Italia, ha illustrato i molteplici campi di azione per la costruzione in Italia di una società fraterna in collaborazione con diverse realtà della società civile.
Daria Jacopozzi, infine, ha riportato il lavoro in corso come assessorato alla pace nella città di Parma, con particolare attenzione all’accoglienza e integrazione dei migranti, sostenendo, in particolare, la campagna per l’istituzione di un Ministero della Pace così come promosso dalla comunità Papa Giovanni XXIII per dare centralità politica alternativa alla guerra e alle armi.
Nasce da questa esigenza di andare contro una corrente, per citare Malaguti, «nichilista che sembra rinnegare alla radice il senso stesso di un’Europa fondata sull’umanesimo e sulla difesa della pace», che l’inizio della Settimana santa sei associazioni (Acli, Azione cattolica Italiana, Agesci. Comuità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari, Pax Christi) hanno deciso di condividere un messaggio di Pasqua che chiede, citando il papa, di alzare le bandiere bianche perché «non possiamo accettare che solo la guerra sia la soluzione dei conflitti. Ripudiarla significa arrestarne la progressione. A cominciare dall’aumento sconsiderato della produzione di armi, a discapito di vere politiche di sviluppo. Osare la pace significa scegliere politiche di disarmo, nucleare e non. Osare la pace significa difendere la Legge 185/90 che oggi rischia di essere svuotata».
Il coraggio della pace qui e ora.
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