La fine di una scommessa azzardata
«La May non intende dimettersi nonostante il Parlamento in stallo»; «May e la Brexit nello scompiglio mentre la sua scommessa sulle elezione le si ritorce contro in maniera spettacolare»: sono più o meno tutti su questi toni i titoli di apertura dei giornali inglesi – l’uno era il Guardian, l’altro l’Independent – alla luce dei risultati delle elezioni che hanno evidenziato una sorta di vittoria di Pirro per i conservatori di Theresa May; che, pur avendo in termini assoluti il maggior numero di seggi, non hanno più la maggioranza in Parlamento. Più che la caduta della premier, tuttavia, colpisce la rimonta dei laburisti: e in effetti Daniel Finkelstein sul Times firma un editoriale dal titolo «Lasciate perdere il fallimento della May, qui è questione del successo di Corbyn». Secondo Finkelstein, a garantire a Corbyn un inaspettato successo è stata non solo «la rabbia di coloro che hanno votato per rimanere nell’Ue», ma anche quella verso le misure di austerity dell’attuale governo. «E così è riuscito a portare il Labour verso sinistra, ma guadagnando voti invece di perderne […]. Gli elettori l’hanno visto semplicemente come un leader laburista, non come un estremista – come i Conservatori avrebbero voluto». L’Independent poi arriva addirittura a chiedersi se un Parlamento privo di una chiara maggioranza possa significare la fine della Brexit, dato che la May avrebbe bisogno dei voti degli altri partiti per proseguire su questa linea – cosa tutt’altro che scontata. E, come ricorda il giornalista Joe Watts, l’articolo 50 del Trattato sull’Ue che regola la procedura di uscita non prevede che, una volta avviata, questa debba obbligatoriamente essere portata a termine.
Naturalmente anche nel resto del mondo si guarda al Regno Unito. Il New York Times parla di una «sollevazione popolare all’inizio della Brexit», mentre Adam Taylor nel suo editoriale sul Washington Post non esita a definire quella della May «una disastrosa scommessa – e usa la parola “gamble”, che sta ad indicare in modo specifico le scommesse fatte nel gioco d’azzardo – sul futuro della Gran Bretagna». La sua “scommessa” per avere una più solida posizione di potere le si sarebbe ritorta contro a fronte della sua scarsa capacità di entusiasmare durante la campagna elettorale, mentre Corbyn, «ben lontano dall’essere il rappresentante standard dell’opposizione […] è stato capace di fare presa sull’ansia dei giovani e degli abitanti delle città a fronte della Brexit e delle misure di austerity». Ora, conclude, «l’unica cosa certa nel futuro della Gran Bretagna è l’incertezza stessa».
In Francia, Le Monde sottolinea come «le autorità europee ora temano negoziati ancora più complicati per la Brexit»; mentre Le Figaro, nell’editoriale di Arnaud De La Grange parla di una «scommessa ben piazzata» a fronte del vantaggio della May, che si sarebbe però dissolto come neve al sole. Il tedesco Der Spiegel, sfruttando un gioco di parole, definisce la May «La Lady traballante» (in tedesco suona infatti simile a «La lady di ferro», come era definita la Thatcher); mentre il corrispondente da Londra di Die Zeit, Sascha Zastiral, firma un editoriale dal titolo «Io, io, io – così non è convincenti» − allusione a come la May abbia incentrato troppo la campagna sulla sua figura e sulla sua personale “scommessa” di rinsaldare il potere e portare a termine la Brexit, scelta che si è rivelata disastrosa. Anche El Paìs, nell’editoriale intitolato «La sconfitta di Theresa May», afferma che «l’avventurismo a corto raggio del primo ministro britannico ha finito il suo corso».