La Filumena Marturano di Cavani

Allestimento di una regista prevalentemente cinematografica, alla sua prima prova teatrale, per un testo cardine della cultura italiana

La storia di Filumena Marturano, la donna che non sa piangere, ma che alla fine si scioglie in lacrime liberatorie; l’ex prostituta per “necessità”, che porta in sé i segni della miseria dei vicoli di Napoli, e che diviene la vera paladina dei valori della famiglia, continua a dirci molte cose. Perché vitalissima ancora oggi nel far vibrare tutte le sue corde interne. Testo cardine della cultura italiana, testo celebratissimo che ha trionfato in tutto il mondo, Filumena Marturano di Eduardo De Filippo è un’opera che segna nella dolorosa dimensione del Dopoguerra, la messa in discussione degli ambiti morali, delle dinamiche sociali, delle geometrie affettive, con la necessità di ridisegnarle dopo la ferita dolorosa della fine del fascismo e del conflitto.

Per questo appare oggi legato dal suo tema a un dopoguerra post-fascista, periodo in cui si riscoprivano i diritti umani, si varava la legge Merlin e l’abolizione di sigle legali ritenute disonoranti come quella di “figlio di NN” dato ai figli illegittimi. Dramma anche sociale quindi, perché tale è al di là della vicenda famigliare, ponendo a nudo fatti e figure di un’epoca senza pietismi di sorta.

La storia è nota. Filumena ha avuto, da uomini diversi, tre figli che cresce all’insaputa di tutti e di loro stessi. Da uno degli amanti, Domenico Soriano, figlio di un ricco pasticcere, che l’ha presa in casa sottomettendola e col quale convive da 25 anni, vuole farsi sposare per costruire, finalmente, quella famiglia che le era stata da sempre negata. E per ottenerla non si ferma davanti a niente. Gli strappa il consenso fingendosi in fin di vita. Dopo il matrimonio rubato con l’inganno (matrimonio che invece l’impenitente donnaiolo si apprestava a concludere con una ventenne), e dopo l’ufficializzazione di quei tre figli naturali (senza rivelare mai a Soriano, nonostante la sua insistente supplica, chi sia realmente il suo, perché «E figlie sò ffiglie, e so’ tutte eguale», e quindi vanno riconosciuti tutti e tre); dopo anni di sofferenza e sacrificio, di sopportazione di quell’uomo farfallone con la testa sempre persa dietro le donne e i cavalli; e dopo finalmente un cenno di amore adulto, Filumena infine scoppia in un pianto liberatorio («… Quant’è bello a chiagnere!»). E a quell’uomo, che si trova a fronteggiare una realtà più grande di lui; che s’infuria davanti allo stratagemma della donna e che fa di tutto per allontanarla definitivamente, sale poi un inaspettato sentimento paterno che lo sconvolge e lo cambia. Fino al tenero – qui aggiunto dalla regista – bacio finale. Perché Filumena Marturano, che mostra l’orgoglio e il riscatto di una donna, rimane pur sempre una grande storia d’amore.

Molti gli allestimenti visti nel tempo. Arriva ora quello firmato da una regista prevalentemente cinematografica, Liliana Cavani, alla sua prima prova teatrale. Ma la regia sembra aver abdicato ad ogni intervento. La messinscena – che comunque funziona, il testo si segue, perché bellissimo e potente sempre, e si piange e si ride – risulta senza nessuna particolare innovazione, se non, oltre al citato bacio finale, far aprire lo spettacolo, invece che nel salotto di casa come previsto da copione, nella stanza da letto di Filumena, cuore della sua intimità; e far scorrere i tre tempi senza intervallo, scanditi da una musica e da cambi a vista in penombra. Gli interpreti reggono la prova, ma senza particolari impennate. Filumena, carnalmente e credibilmente interpretata da Mariangela D’Abbraccio, pecca per le eccessive pose e agitare di mani, e per i toni dialettali accentuati, risultando un po’ meccanica e ripetitiva nei gesti; Geppy Gleijeses, Domenico Soriano, è un dandy di metà Novecento. Colpe, tormenti, rabbie, amarezze, e anche i biliosi silenzi, sono più detti che vissuti; e spesso riduce certi momenti a vezzi che cercano il compiacimento del pubblico. Spicca la serva Rosalia della briosa Nunzia Schiano dagli irresistibili tempi ironici.

“Filumena Marturano”, di Eduardo De Filippo, regia Liliana Cavani, con Mariangela D’Abbraccio, Geppy Gleijeses, Nunzia Schiano, Mimmo Mignemi, e con Ylenia Oliviero, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone, Gregorio Maria De Paola, Eduardo Scarpetta, Fabio Pappacena; scene e costumi Raimonda Gaetani, musiche Teho Teardo. Produzione Gitiesse Artisti Riuniti. Al teatro Quirino di Roma, fino al 29/1. In tournèe.

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