La festa della luce
Egeria, scrittrice romana del IV-V secolo, nel suo Itinerarium (testo che racconta il viaggio che intraprese nei luoghi santi della cristianità) riporta le origini antichissime di questa festa celebrata nelle prime chiese: «Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima». Le radici di questa celebrazione si ritrovano nel Vangelo di Luca. Maria e Giuseppe vanno al Tempio di Gerusalemme 40 giorni dopo la nascita del figlio Gesù. Per due motivi. Il primo, per la purificazione di Maria, perché secondo la tradizione ebraica la donna era considerata impura per 40giorni dopo il parto di un maschio (e i 40 giorni dopo il Natale portano proprio al 2 febbraio). Il secondo, per presentare il poppante Gesù al Tempio, e consacrarlo a JHWH. Questo “riscatto del primogenito” non era una prescrizione vincolante della legge ebraica: il fatto che fu compiuto da Maria e Giuseppe testimonia che erano ebrei pii. Ma durante quella presentazione avvenne un fatto singolare. Un vecchio di nome Simeone, che godeva fama di saggezza e santità, si avvicinò a loro e guardando il bambino sussultò intimamente di gioia. Probabilmente ebbe una grande intuizione, un’illuminazione. Quindi, sbalordendo i genitori, esplose in una profezia che loro non compresero: «ecco la luce che illuminerà le genti». Da questa frase nacque la tradizione di illuminare le chiese con candele e di benedirle, nella festa della Candelora. Ma dopo aver detto queste parole, il vecchio Simeone prese in disparte Maria e aggiunse una frase ancora più sconvolgente: «questo bambino sarà segno di contraddizione, porterà la rovina e la risurrezione a molti, sarà segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori». Insomma di fronte a lui non si potrà stare indifferenti, non si potranno dare risposte diplomatiche, sarà: sì o no, quello che è nascosto nel profondo del cuore verrà alla luce. Anche questa parte della profezia di Simeone parla quindi di luce. Di una luce tagliente come una spada. Ma una luce che guarisce, l’unica che fa stare bene, perché illumina di verità e misericordia.
La festa della Candelora dà l’inizio a quel mese molto particolare che è febbraio: l’ultimo mese d’inverno e l’unico di durata mobile (a volte di 28, a volte di 29 giorni). Il nome “febbraio” deriva da Februa, una personificazione della dea Giunone, che veniva festeggiata nell’antica Roma proprio il 1°febbraio.I Romani temevano febbraio e lo consideravano funesto. Lo consideravano un mese da dedicareariti di purificazione in preparazione della rinascita della vita in primavera e dell’inizio del nuovo anno, che iniziava il 1° marzo (per inciso, anche il termine “febbre” ha la stessa radice di febbraio, ed indica il processo attraverso il quale il corpo si purifica dai malanni). Fra i riti pagani di febbraio c’erano i Lupercali, celebrati tra il 13 e il 15 febbraio, per propiziare la fertilità del terreno ela fecondità delle donne; e c’erano i Feralia che si celebravano il 21 febbraio portando offerte rituali ai morti per placare le loro anime tormentate e a volte vendicative. Queste feste poi furono soppiantate da quelle cristiane. Papa Gelasio I, nel 495, fece abolire i Lupercali (che a volte sconfinavano in oscenità) e li sostituì con la festa cristiana della Candelora, che all’epoca si collocò il 14 febbraio nel bel mezzo di quelli che erano stati i Lupercali (Natale allora era celebrato il 6 gennaio e i 40 giorni portavano proprio al 14 febbraio). Quando poi la data del Natale fu poi posta al 25 dicembre, la Candelora si spostò di conseguenza al 2 febbraio. E il 14 febbraio divenne celebre per essere dedicato alla memoria San Valentino, il vescovo di Terni che subì il martirio nel 273, all’età di 97 anni. Il suo culto si diffuse rapidamente in tutta Europa per opera dei Benedettini; poi, chissà come, si mescolò con le tradizioni dell’amor cortese, e il santo venne proclamato patrono degli innamorati.E il giorno di San Valentino continua a essere festeggiato in tutto il mondo da chi si ama.