La festa del messia
È l’unica volta che Gesù ha accettato una manifestazione di trionfo. La folla lo acclama, provocando la reazione rabbiosa dei farisei, che ricorrono a lui stesso perché faccia cessare i festeggiamenti. E lui invece dice di lasciare continuare.
Il popolo lo accoglie come il messia, ma si tratta di un messia particolare, mite, povero e debole, in groppa a un asino. Un messia del popolo, in mezzo alla gente, distante dai capi. Ma che «viene nel nome del Signore», quindi con l’autorità che gli conferisce chi l’ha inviato.
Ancora una volta appare qui il tipo di messia che Gesù ha sempre dichiarato di essere e ha impersonato e che si manifesterà in pienezza negli avvenimenti della settimana immediatamente successiva.
La liturgia della domenica delle Palme è stata sapientemente costruita in questa prospettiva: prima l’entrata di Gesù in Gerusalemme e la processione, poi la lettura della Passione di Gesù. I due avvenimenti si spiegano e completano a vicenda: il messia e Signore ha come trono la croce; questa è il trionfo del Salvatore.
È la vittoria della debolezza, perché rovescia le costruzioni fondate sul potere, sulla ricchezza, sull’orgoglio, scalzandole alle radici. Gesù non conduce la sua guerra con le armi del mondo perché, se dovesse vincere, la situazione rimarrebbe la stessa di prima. La sua arma, l’amore, introduce nel mondo la novità che cambia i cuori, genera rapporti veri, basati sulla misericordia e sul perdono e avvia la costruzione di una società fraterna.
Ha rischiato. Non per l’arma che ha scelto, ma per i soldati che ha arruolato, che alle volte sono tentati di usare le armi del mondo. In che cosa riponiamo la nostra fede?