La ferita di piazza Dalmazia

Un anno fa due senegalesi vennero uccisi, mentre altri tre vennero feriti dalla follia omicida di Gianluca Cassèri. «La politica non ha saputo garantire sufficiente sicurezza a tutti mentre necessita che la fraternità secondo il diritto e la cittadinanza diventi una cultura che impasti anche le leggi». Commenta l'articolo
Piazza Dalmazia

Oggi, 13 dicembre, si celebra il primo anniversario della strage di piazza Dalmazia a Firenze, dove sono stati uccisi due senegalesi, Modou Samb e Mor Diop, e tre sono rimasti feriti, Sougou Mor, Mbenghe Cheike e Moustapha Dieng, che le pallottole hanno reso paraplegico. Un anno fa, all’improvviso, la città di Firenze, la città di Giorgio La Pira, ha scoperto la violenza razzista. Un suo cittadino ha sparato contro dei giovani senegalesi che vendevano i loro prodotti.

La politica non è stata capace di difendere la vita di questi giovani, venuti da noi per costruire un futuro alle loro esistenze e alle loro famiglie. Scrivemmo subito che come Toscana dovevamo chiedere perdono alla comunità senegalese, perché la politica non aveva vigilato sulla vita di alcuni di loro, non aveva vigilato con sufficiente forza morale e culturale.

Quante volte abbiamo giustamente usato la parola “sicurezza”, ma davvero la sicurezza per tutti, per tutti coloro che vivono nelle nostre città. La sicurezza di chi da sempre abita le nostre città e la sicurezza di chi viene per cercare lavoro e futuro. Non ci sono cittadini di serie A e di serie B. Ci sono cittadini, che vivono e convivono, nel rispetto dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno. Questo ci chiede la nostra Costituzione. Questo ci domanda la parola della fraternità, parola che non compare nella Costituzione, ma che la ispira nel profondo, nei suoi contenuti irrinunciabili.

Nel nostro inno si dice “Fratelli d’Italia”. Ma la fraternità dell’inno è una fraternità non secondo il sangue e la razza, ma secondo la cittadinanza e il diritto: la fraternità di chi vive sulla stessa terra e di chi condivide e partecipa alla stessa storia. Per questo oggi possiamo dire che un anno fa sono stati uccisi due nostri fratelli, Modou Samb e Mor Diop, e sono stati feriti tre fratelli, venuti dal Senegal e che ormai appartengono alla nostra comunità. Allo stesso modo di quello che era accaduto a sei giovani senegalesi, uccisi cinque anni fa dalla camorra a Castelvolturno.

Solo una cultura della fraternità secondo la legge e il diritto genera la sicurezza, perché è capace di spezzare l’odio e di generare condivisione, di alimentare la convivenza e non l’abbandono, di seminare dignità e non esclusione. Solo se riconosciamo il razzismo e il populismo, che abita in molte parti e in molti luoghi del nostro Paese, lo sapremo combattere con le armi miti della conversione e della riconciliazione, con una politica che non lucri sulla paura del diverso e dello straniero, ma accetti la sfida di una integrazione intelligente e condivisa.

Come ha fatto la Toscana quando ha accolto due anni fa i giovani tunisini e i richiedenti asilo che venivano dalla Libia, evitando di creare dei lager e ospitandoli nei centri di comunità religiose e laiche. Compito della politica è prevenire la violenza, che trova sempre giustificazioni culturali, invece di usarla in termini di consenso elettorale. Questo è accaduto nel nostro Paese. Qualcuno ha giocato sulla paura, ma oggi i cittadini  hanno capito che populismi e leghismi distruggono la nostra Costituzione e ogni possibile convivenza.

Proprio la crisi che attraversiamo chiede a tutti di ritornare alla Costituzione, di superare le suggestioni populiste e domanda di costruire una cultura della fraternità secondo il pieno riconoscimento della persona di ciascuno. Questa cultura  fonda il personalismo della nostra Costituzione, apre alla conversione e genera il perdono. È la parola antica e nuova, che feconda una politica dell’unità e non della divisione, dell’accoglienza e non del rifiuto, dell’inclusione e non dell’esclusione.

Sono nostri fratelli i cittadini senegalesi uccisi e feriti a Firenze, è nostro fratello anche chi li ha uccisi e feriti. Dobbiamo sempre ricordare che anche Caino è protetto da Dio e che Caino è nostro  fratello e una parte di Caino abita in noi. La politica è l’arte dell’impossibile, perché chiama la società a passare dalla violenza alla fraternità e quando un fratello è ucciso, è la morte della politica.

A Firenze la politica rinasce se ascolta il grido muto del sangue sparso e opera instancabilmente per una società a misura della fraternità, senza privilegi, senza paura, convertendosi dall’idolo della morte  e dell’odio, inginocchiandosi davanti al dolore dei fratelli più piccoli.

 

13-12-2012

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