La felicità misura del benessere
Trasformare le persone in attori del cambiamento sociale e cambiare i parametri per valutare le comunità. Al Forum per la comunicazione sull'ambiente le esperienze dal mondo
Il controllo democratico sulla gestione delle risorse collettive può davvero cambiare in meglio le cose, abbandonando però i modelli economici tradizionali. Le esperienze che toccano mezzo mondo, dall’Amazzonia al Giappone passando per i Paesi dell’Africa Mediterranea, protagonisti delle rivolte che hanno caratterizzato questi ultimi mesi, indicano questa strada. Se ne è parlato al al Forum Internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura organizzato dall’associazione Greenaccord a Cuneo.
Insomma non più il soldo, la moneta, il valore economico determinano il benessere di una comunità, ma gli elementi immateriali, come la qualità ambientale o la bellezza di un territorio. Uno spostamento di focalizzazione dall’individio alla persona, alla bellezza della complessità della persona e quindi alle relazioni e alla felicità.
“Vanno superate le tradizionali valutazioni ambientali basate sulla mera analisi costi/benifici, che calcolano ex ante il danno di qualcosa che non può essere quantificato. – spiega Luciano Canova, docente di economia comportamentale alla Scuola Mattei di Enicorporateuniversity – Occorre invece definire criteri etici di gestione di quel bene e poi fare valutazioni che stimolino il consenso della comunità. In questo modo, ponendo le relazioni sociali e la felicità al centro delle politiche, i vari livelli istituzionali, da quello centrale a quelli locali, possono aggregare le forme di consenso e nella comunità si possono creare contributi volontari per stimolare la direzione da prendere”.
Gli ospiti del Forum si sono chiesti che impatto avrebbe questo nuovo modo di approcciarsi alle persone e all’ambiente.
“Ancora non abbiamo un modello di progresso che sappia conciliare occupazione, sviluppo e tutela delle risorse – ammette il brasiliano André Junqueira Ayres Villa-Boas, segretario esecutivo dell’Isa l’Instituto Socioambiental – Ecco perché siamo di fronte a una contraddizione: abbiamo fatto grandi passi avanti nella protezione delle riserve indigene e dei parchi naturali ma i popoli indigeni non hanno alcuna possibilità di far sentire la propria voce in merito a come gestire quei beni”.
Ma la voce dei cittadini, a volte, può essere cruciale per evitare politiche dissennate che possono avere, alla fine, impatti non solo sul futuro di uno Stato ma del mondo intero. Ne sanno qualcosa gli abitanti di Fukushima. “Governo, stampa, agenzie specializzate e scienziati: nessuno ha mai detto a noi cittadini il pericolo che stavamo correndo – denuncia Tetsuro Akanegakubo, direttore della Scuola Giapponese di Roma -. Se c’è una cosa che abbiamo imparato dall’esplosione della centrale nucleare è che non esiste nulla di assolutamente sicuro. E che il controllo della produzione energetica in poche mani non aiuta la sicurezza. Infatti, dopo la tragedia, abbiamo iniziato a preoccuparci di decentrare tale produzione, ripensare il modello energetico. Già da mesi i Comuni, anche quelli più piccoli, hanno iniziato a incentivare l’uso di fonti pulite. Cittadini e aziende vogliono prodursi da sé l’energia e stanno investendo nei sistemi di risparmio energetico”.
Trasformare le persone in attori del cambiamento sociale: il passaggio è cruciale, nella strada per costruire un modello di progresso condiviso dai cittadini. In questo cambio, la diffusione sempre più capillare dei nuovi media può essere di grande aiuto: “Se pensiamo alle rivolte scoppiate in Tunisia, Egitto, Siria e Libia, internet, social network e tutti i mezzi di comunicazione nati grazie al web sono stati dei catalizzatori dei cambiamenti sociali“, spiega Belkacem Mostefaoui, sociologo dell’Università di Algeri in una relazione molto applaudita dagli oltre cento giornalisti della rete Greenaccord. “Ovviamente quei cambiamenti già covavano nella società, a causa di regimi autoritari sempre più intollerabili. Ma le richieste di democratizzazione sono state senza dubbio diffuse in modo più rapido dai nuovi media. Il primo risultato è stato ottenuto: cacciare i dittatori. Forse il difficile arriva ora: dare uno sbocco positivo e auspicabile a quelle richieste di cambiamento. Costruire forme di società che aiutino davvero il benessere dei singoli cittadini”.