La felicità: istruzioni per l’uso
Sicuramente, a chiunque chiedessimo cos’è che desidera di più nella vita, ci risponderebbe: «essere felice». Ma se poi gli domandassimo in che cosa consista la felicità, sono sicuro che le risposte sarebbero molto diverse da persona a persona. È evidente che ogni essere umano si sente fatto per la felicità; il problema sta nel sapere che cosa essa sia realmente e quali siano le strategie per ottenerla.
Il mondo contemporaneo, soprattutto in Occidente, ha generalmente un concetto edonistico della felicità; pensa cioè che la felicità si raggiunga con il godimento dei piaceri, e pertanto agisce di conseguenza. Ma, è vero tutto ciò? È vero, cioè, che nei piaceri si trova la felicità? Non c’è dubbio che godere di un piacere – per esempio, un cibo gustoso, una bella musica, una passeggiata in mezzo alla natura, un rapporto sessuale, un momento di lettura piacevole, ecc. – produce un benessere temporaneo, che dura finché si sta realizzando una data attività, ma che, quando l’attività finisce, passa alla svelta, lasciandoci più o meno come eravamo prima.
D’altro canto, i piaceri sono soggetti a un meccanismo che in psicologia si chiama assuefazione, che fa sì che qualsiasi piacere perda progressivamente valore. Facciamo un esempio di assuefazione: a me piace molto il budino e godo nel mangiarlo, ma se prendo il budino a colazione, pranzo e cena, è facile che dopo un po’ di giorni il budino smetta di procurarmi quella sensazione piacevole; cioè, il mio organismo si sarà assuefatto al budino e questo finirà per non sapere più di niente. Alla fine non mi procurerà alcun piacere ed è persino possibile che arrivi a disgustarmi.
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La nostra società ha fatto una scommessa sui piaceri. È un pensiero generalizzato – anche se non sempre esplicito – che questi diano la felicità, per cui tutti desiderano accedervi. Ma, a causa dell’assuefazione, si arriva a sostituire via via un piacere con l’altro o ad aumentare le dosi in modo progressivo, fino ad assumere comportamenti aberranti e disumanizzanti.
Così rifiutiamo il sacrificio poiché è l’opposto del piacere, fuggiamo dal dolore o cerchiamo di negarlo, lasciamo lo sforzo agli altri, l’impegno non lo consideriamo positivo, non accettiamo la sofferenza e davanti a essa ci giriamo dall’altra parte. Sono, queste, strategie inutili perché senza sforzo e senza sacrificio non è possibile vivere e dal dolore e dalla sofferenza non si può scappare: sono lì, e prima o poi ce li ritroveremo davanti. È inutile che tentiamo di fuggire: non c’è via d’uscita. Se per essere felici pretendiamo di provare solo piaceri e non patire alcun tipo di sofferenza, è chiaro che ci stiamo ingannando, poiché ciò è impossibile.
Nonostante l’evidenza di questo ragionamento, la nostra società e i nostri legislatori sembrano non essere coscienti di tutto ciò, e ci spingono a godere dei piaceri e a negare il dolore, scivolando sempre più in un pragmatismo edonistico che ci disumanizza. […]
Negli ultimi anni la cosiddetta psicologia positiva, iniziata con Martin Seligman, prestigioso psicologo americano, ha cominciato a studiare la “psicologia della felicità”, ha cercato cioè di scoprire quali siano gli elementi che rendono una persona felice. E si è imbattuta in alcune sorprese.
[…] Queste alcune delle conclusioni:
- Il denaro non dà la felicità. È un luogo comune che abbiamo sentito tante volte ma al quale pochi hanno dato credito. […]
- La ricerca della felicità nei piaceri può portare alla depressione. Ciò non significa che i piaceri siano cattivi, certamente no! È sempre bene godere di un momento di piacere; basta sapere che si tratta solo di un momento di relax e che, se ne abusiamo, esso smetterà di produrre benessere. E, naturalmente, non ci darà la felicità.
- Ogni mio miglioramento personale, ottenuto con sforzo, è un fattore che aumenta la mia felicità. Seligman parla di forze (temperamentali) e di virtù. […]
- Una delle cose che contribuiscono maggiormente alla felicità delle persone è l’altruismo, cioè la scelta di aiutare quanti hanno bisogno di un qualche tipo di sostegno. Secondo Seligman, questo è uno dei fattori che rendono le persone più felici.
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Recentemente, in uno studio realizzato dall’Università della Columbia Britannica (Canada) in collaborazione con la Scuola di impresa di Harvard, si è potuto constatare che l’essere umano è più felice quando fa un regalo che non quando lo riceve. Sorprendentemente, la maggioranza delle persone suppone che sia il contrario, cioè esse immaginano che saranno più felici ricevendo un regalo che donandolo. Vediamo dunque che l’idea dominante nella nostra società è condizionata dall’egoismo, ma l’evidenza scientifica dice esattamente il contrario: l’altruismo, il dare agli altri, il preoccuparsi di loro, aumenta la felicità più che il ricevere.
Nel libro citato Seligman afferma che
quando siamo felici ci concentriamo meno su noi stessi, ci piacciono di più gli altri e desideriamo condividere la nostra buona sorte persino con sconosciuti. Tuttavia, quando siamo depressi diventiamo diffidenti e introversi e ci concentriamo sui nostri bisogni con atteggiamento di difesa. Cercare di diventare il numero uno è più tipico della tristezza che del benessere.
Riassumendo quanto detto finora, possiamo arrivare alla conclusione, apparentemente paradossale, che la felicità esige sacrificio, rinuncia, sforzo e capacità di affrontare gli ostacoli e le sofferenze, accettandoli serenamente. Allo stesso tempo, preoccuparsi degli altri e vivere amando disinteressatamente il prossimo sono la principale fonte di felicità. E ciò, evidentemente, esige anche sforzo e sacrificio e, soprattutto, non bisogna preoccuparsi troppo di se stessi.
Parafrasando una citazione del Vangelo, potremmo dire: «Chi cerca la propria felicità la perderà, ma chi si libera dalla preoccupazione della propria felicità per cercare quella degli altri, costui la troverà».
da Iñaki Guerrero Ostolaza, Come essere liberi, manuale di auto-aiuto per vivere più sereni (Città Nuova, 2017), pp.168 – prezzo: € 15,00