La felicità di Schubert

Francesco La Vecchia dirige all'Auditorium della Conciliazione di Roma la celebre "Incompiuta" e la "Grande", sinfonie diverse ma entrambe altrettanto intense, rappresentative di un genio musicale indimenticabile
Francesco La Vecchia

Ci sono musicisti che non invecchiano mai. La musica di Schubert, morto giovane a 31 anni, è di quelle che mantengono con gli anni una freschezza che non sfiorisce, anzi sembra che il tempo la tenga come sotto uno strato di rugiada.

La Sinfonia n. 8 in si min, la celebre “Incompiuta” fa rimanere meravigliati ad ogni ascolto. Francesco La Vecchia che la presenta all’Auditorio Conciliazione a Roma dà un attacco lentissimo, come per l’apertura di un sipario o come lo svelamento di un’anima. Soluzione acuta. E il primo tempo così fremente vede la melodia alzarsi come un volo insistente in altezze e ricadute, in avvolgimenti  e riprese, passando da una sezione all’altra dell’orchestra. È gioco ma anche comunicazione di sentimenti di dolore e di gioia insieme, con quella mestizia serena di fondo che caratterizza l’arte del grande Franz. Nel secondo movimento poi il canto si alza esteso e piano commentato dai vari strumenti, come ricami di una poesia d’amore. In effetti tutta la musica schubertiana è qualcosa che vive sotto il cielo dell’amore. Ed anche questa sinfonia che chiude con pochi accordi soffici è come un verso ultimo di un poema che lascia una porta aperta all’infinito.

Più varia e meno raccolta, se si può dire, la Nona Sinfonia, la “Grande”. Beethoven vi è presente, anche con un vago accenno all’"Inno alla gioia". Non era facile essere Schubert di fronte al gigante contemporaneo. Pure, Franz riesce ad essere sé stesso, ossia a presentare qui il lato gioviale e scherzoso, la monumentalità mai pesante, ma soprattutto la voglia di vivere che caratterizza la sua musica. I quattro tempi della “Grande” sono un rincorrersi di idee originali, di ritmi popolari, soprattutto si canta e molto. L’oboe e il clarinetto diventano le voci dell’anima schubertiana che ride, corre e gioca, con quel candore e quella lacrima facile – che subito scompare – che lo contraddistinguono. L’orchestra diretta con precisione e gioia da La Vecchia dice la sua giovinezza con slancio e poesia. Il suono dolce dell’oboista, quello sornione del clarinettista, e in particolare la fila dei violoncelli che canta come una voce umana dicono di un complesso ormai eccellente. È una esecuzione che ti fa amare ancor più Schubert.

Per chi volesse riascoltarlo, scelga fra le molte l’incisione diretta da Bruno Walter. Non resterà deluso.

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