La fede e la regola di vita
Credo sia molto importante che in ogni ricerca di un ordine per la vita, di cura della propria “anima”, teniamo presente questa domanda che ridimensiona: «Che cos’è l’uomo, Signore, perché te ne curi, un figlio d’uomo perché te ne ricordi?». Chi siamo noi per pensare che il Signore ci parli? O, anche semplicemente – poiché stiamo cercando di intuire una regola per la vita –, per pensare che riusciamo a portare a compimento la nostra vita? Siamo più un frammento che non un tutto, siamo più un abbozzo e, in questo senso, più una promessa che non un compimento già acquisito, garantito.
Inoltre, i saggi direbbero che, anche quando ce la mettessimo tutta, non siamo noi che riusciamo a portare a termine quello che è il disegno del Signore. Dobbiamo accontentarci di averne ricalcato soltanto una parte, un segmento.
«Non sta a te compiere l’opera, però non puoi sottrartene», dicono i saggi di Israele. Il grande Mosè non riuscirà a entrare nella terra promessa, però farà entrare tutti. […] È fondamentale che ci manteniamo sempre un po’ in sospeso davanti al Signore, non nel senso di problematizzare con angoscia o con dubbio, o di seminare dubbio su quelle che sono invece acquisizioni certe della nostra vita, scelte di fondo. Ma nel senso di crescere nel pieno abbandono alla grazia, alla gratuità dell’Amore da cui nasciamo e rinasciamo (eulabeia, è l’atteggiamento per cui Gesù è esaudito dal Padre: Eb 5, 7). Un Grembo che nutre, grazia su grazia (cf. Gv 1, 16) è, nell’invisibilità di Dio, l’orizzonte di ogni ordine alla vita.
Le scelte di fondo – anche riguardo a una propria regola di vita – sono la risposta a questa domanda fondamentale: «Chi siamo noi, Signore, davanti a te? Per qualunque cosa ci chiami; dobbiamo davvero riconoscere che in noi non ci sono automaticamente capacità che ci darebbero diritto, o anche soltanto l’idea, di pensare che, a priori, noi siamo capaci. Le nostre capacità vengono, fino in fondo, tutte quante da te».
Tant’è vero che poi la risposta di Dio all’obiezione di Mosè basata sulla propria inadeguatezza è: «Io sarò con te». Non gli dice: «Tu sei Mosè, la tua generazione è questa, sei un uomo nobile, sei un uomo forte». Non dice queste cose; dice piuttosto la sua assistenza, la sua presenza per lui. «Non vado in cerca di cose grandi». Le garanzie, allora, non cerchiamole in doti che non avremmo ricevuto in dono, e che perseguiremmo con una regola di vita, ma piuttosto nella presenza stessa del Signore che si manifesta nella bellezza della sua creatura mortale. La nostra condizione di creatura è buona agli occhi di Dio, è una dignità somma – non è cattiva.
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La fede è certezza di vivere, è certezza di essere tra il Padre e il Figlio. Entro questa relazione corre tutta quanta la realtà, tutto il mondo; non c’è niente che possa in qualche maniera sottrarsi a questo dialogo, a questa comunione reciproca tra il Padre e il Figlio.
«Come un piccolo in braccio». Se ascoltiamo Gesù, ci troviamo abbracciati dal reciproco amore, dalla reciproca conoscenza tra il Padre e il Figlio. Un’esperienza unica che è soltanto loro, un’esperienza di una reciprocità perfetta, di una comunione perfetta che si dischiude a chiunque il Figlio voglia rivelarla. È una comunione fatta di stupore e benedizione esultante. Gesù è sempre colui che pensa più positivo di tutti e il segreto è, in ultima analisi, schiettamente eucaristico: «Ti ringrazio, ti benedico».
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La fede è un anticipo in tutti i sensi, sia nel senso di quello che riceviamo, sia nel senso di quello che ricambiamo al Signore.
Questa anticipazione, questa conoscenza così esclusiva che corre tra il Padre e il Figlio, si dischiude a quei semplici che dicono: «Chi sono io, Signore? Un niente dinanzi a te, un infante appeso a te».
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Una regola per la vita assomiglia a quei sassolini della fiaba di Pollicino. O forse solo a briciole di pane. Per riscoprire ogni giorno nuovo, vivente, gravido di inesplorato futuro, il luogo memoriale dell’Origine.
A regola d’arte di Maria Ignazia Angelini (Città Nuova, 2017)