La fede e la regola di vita

La fede è abbandonarsi nella braccia di Dio come un figlio in quelle del padre. È la certezza della Sua presenza nella nostra vita che ci accompagna sempre. Punto di riferimento imprescindibile nella ricerca della propria regola di vita. Come spiega Maria Ignazia Angelini in A regola d’arte (Città Nuova, 2017)

Credo sia molto importante che in ogni ricer­ca di un ordine per la vita, di cura della propria “anima”, teniamo presente questa domanda che ridimensiona: «Che cos’è l’uomo, Signore, perché te ne curi, un figlio d’uomo perché te ne ricordi?». Chi siamo noi per pensare che il Signore ci parli? O, anche semplicemente – poiché stiamo cercando di intuire una regola per la vita –, per pensare che riusciamo a portare a compimento la nostra vita? Siamo più un frammento che non un tutto, siamo più un abbozzo e, in questo senso, più una promes­sa che non un compimento già acquisito, garantito.

Inoltre, i saggi direbbero che, anche quando ce la mettessimo tutta, non siamo noi che riusciamo a portare a termine quello che è il disegno del Si­gnore. Dobbiamo accontentarci di averne ricalcato soltanto una parte, un segmento.

«Non sta a te compiere l’opera, però non puoi sottrartene», dicono i saggi di Israele. Il grande Mosè non riuscirà a entrare nella terra promessa, però farà entrare tutti. […] È fondamentale che ci mante­niamo sempre un po’ in sospeso davanti al Signore, non nel senso di problematizzare con angoscia o con dubbio, o di seminare dubbio su quelle che sono invece acquisizioni certe della nostra vita, scelte di fondo. Ma nel senso di crescere nel pieno abbando­no alla grazia, alla gratuità dell’Amore da cui nascia­mo e rinasciamo (eulabeia, è l’atteggiamento per cui Gesù è esaudito dal Padre: Eb 5, 7). Un Grembo che nutre, grazia su grazia (cf. Gv 1, 16) è, nell’in­visibilità di Dio, l’orizzonte di ogni ordine alla vita.

Le scelte di fondo – anche riguardo a una pro­pria regola di vita – sono la risposta a questa do­manda fondamentale: «Chi siamo noi, Signore, da­vanti a te? Per qualunque cosa ci chiami; dobbiamo davvero riconoscere che in noi non ci sono automa­ticamente capacità che ci darebbero diritto, o anche soltanto l’idea, di pensare che, a priori, noi siamo capaci. Le nostre capacità vengono, fino in fondo, tutte quante da te».

Tant’è vero che poi la risposta di Dio all’obiezione di Mosè basata sulla propria inadeguatezza è: «Io sarò con te». Non gli dice: «Tu sei Mosè, la tua generazione è questa, sei un uomo nobile, sei un uomo forte». Non dice queste cose; dice piuttosto la sua assistenza, la sua presenza per lui. «Non vado in cerca di cose grandi». Le garan­zie, allora, non cerchiamole in doti che non avrem­mo ricevuto in dono, e che perseguiremmo con una regola di vita, ma piuttosto nella presenza stessa del Signore che si manifesta nella bellezza della sua creatura mortale. La nostra condizione di creatura è buona agli occhi di Dio, è una dignità somma – non è cattiva.

[…]

La fede è certezza di vivere, è certezza di essere tra il Padre e il Figlio. Entro questa relazione corre tutta quanta la realtà, tutto il mondo; non c’è niente che possa in qualche maniera sottrarsi a questo dialogo, a questa comunione reciproca tra il Padre e il Figlio.

«Come un piccolo in braccio». Se ascoltiamo Gesù, ci troviamo abbracciati dal reciproco amore, dalla reciproca conoscenza tra il Padre e il Figlio. Un’esperienza unica che è soltanto loro, un’espe­rienza di una reciprocità perfetta, di una comu­nione perfetta che si dischiude a chiunque il Figlio voglia rivelarla. È una comunione fatta di stupore e benedizione esultante. Gesù è sempre colui che pensa più positivo di tutti e il segreto è, in ultima analisi, schiettamente eucaristico: «Ti ringrazio, ti benedico».

[…]

La fede è un anticipo in tutti i sensi, sia nel senso di quello che riceviamo, sia nel senso di quello che ricambiamo al Signore.

Questa anticipazione, questa conoscenza così esclusiva che corre tra il Padre e il Figlio, si dischiu­de a quei semplici che dicono: «Chi sono io, Signo­re? Un niente dinanzi a te, un infante appeso a te».

[…]

Una regola per la vita assomiglia a quei sasso­lini della fiaba di Pollicino. O forse solo a briciole di pane. Per riscoprire ogni giorno nuovo, vivente, gravido di inesplorato futuro, il luogo memoriale dell’Origine.

A regola d’arte di Maria Ignazia Angelini (Città Nuova, 2017)

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