La fede dei poveri
In questo periodo dell’anno, il caldo si fa sentire ed è forte, molto forte. Le temperature sfiorano, durante il giorno, anche i 38 gradi e a volte ancor più. La sera fa più fresco, sui 29 gradi. Le zanzare non mancano mai e non si curano dei prodotti cosparsi sulla pelle per evitare la loro puntura.
Ho pensato di vivere la Settimana santa in modo diverso, quest’anno: in mezzo ai poveri e in luoghi di culto semplici. Il papa spinge col suo esempio a uscire verso le periferie esistenziali e così anche noi che per professione umanitaria dobbiamo esplorare posti e situazioni sempre nuove, è importante che seguiamo questo consiglio. Con alcuni bambini di strada, ad esempio, provenienti da una scuola, Pho Cap, che ne raccoglie in tutto 135, un uomo mezzo paralizzato e un bimbo affetto da una rara malattia del sangue, mi sono recato presso un luogo di culto lontano da Saigon, dove le autorità hanno confinato un sacerdote che aiuta i malati a pregare e li benedice, ed alcuni di loro sembra addirittura che guariscano. Dopo il distretto 7, il ricco quartiere stile californiano della città di Saigon, si arriva ad un luogo abbandonato all’apparenza. Siamo a 30 km fuori la città. Si notano solo tanti pullman e delle tettoie: nient’altro che quello e sacchetti di plastica monouso per la strada: onnipresenti in questa regione.
Addentrandomi, ho scoperto una folla di circa 10 mila persone in preghiera. Disabili, carrozzine d’ogni genere, gente portata in spalla: una scena incredibile che ricorderebbe Lourdes se non fosse il gran caldo e le facce della gente. Una compostezza in tutti che colpiva. Tanto silenzio. Proibito far foto. Si direbbe una folla di disperati, guardandoli con occhi della mondanità spirituale, come la definisce il papa: «Sono tutte persone che non hanno più nulla, se non la fede: in genere qui trovano l’ultima speranza per trovare conforto e voglia per andare avanti», mi fanno notare. Non sono tutti cattolici. Rimango un paio d’ore. Nel cuore sorge una frase, che tutt’ora mi ha lascia qualcosa a cui pensare: «Questo è il vero Vietnam». I palazzi, i turisti che arrivano a flotte e sembrano divorare tutto, compresi i trofei della guerra con gli Usa (obici, cacciabombardieri, elicotteri ecc.), senza pensare che ognuno di questi oggetti ha realmente stroncato migliaia di vite umane, mentre le foto nei musei nazionali non vengono da un film. Penso ancora al papa e mi sembra che quella sua voce che non urla e non impone, riecheggi anche qui, ora, in mezzo a questi disperati che cantano e questo caldo umido, ma dove nessuno si lamenta. Riparto con l’odore della gente impregnato nei miei vestiti: e non vorrei che se ne andasse via più.
Poi ieri sera, giovedì santo. A notte fonda, una brezza accarezza le persone nella piccola cappella di un ordine religioso, Maria dei poveri, dove sono arrivato per la preghiera che qui si prolunga fino alle ore 24.00. Una brezza che arriva dal fiume Mekong che dista pochi metri dalla piccola vecchia e malridotta cappella: sembra un lieve venticello interiore. Sono circa le ore 21.00 e mi siedo insieme alla gente che prega. Osservo e rimango colpito. Il tempo sembra essersi fermato in questo semplice luogo dove si trova la fede, la tenerezza e un silenzio che parla in mezzo a gente della classe popolare che non è venuta qui per un obbligo, ma per un sentito amore.
Rimango una ventina di minuti, forse di più, e mi sposto poi in una più grande cappella poco distante: è una notte speciale e anche uno come me, avvezzo alle tragedie, ha bisogno di fermarsi e stare in silenzio. Rimango semplicemente stravolto dalla quantità di gente che trovo. Incredibile… eppur vero. Osservo, passeggio un po’ e noto che c’è una sola ragazza incollata allo smartphone: tutto il resto delle persone, circa un migliaio, sono concentrati nei canti e nella preghiera. Fa caldo e le zanzare mordono. Eppure nessuno protesta. Anche qui noto gente semplice, classe medio-bassa della società vietnamita. Torno a casa, ormai è tardi. Poca gente per la via: c’è solo chi chiude i negozietti notturni di minestra. Provo una grande pace nell’anima. Sono un semplice reporter: eppure ognuno di noi ha bisogno di ritornare alle fonti della propria vita e di stare con sé stesso e Qualcun altro. E questa gente semplice, in questi due giorni, mi ha dato tanto: la speranza che la Chiesa è fatta dai piccoli, i poveri, da chi ha perso tutto e rimane solo con l’amore, la fede e la speranza. Poi delle tre rimarrà solo l’amore, come ammonisce san Paolo. Quello che ho trovato tra questa gente.