La febbre del baseball
Oltre un milione di tifosi – record assoluto – ha gremito i diamanti delle sedi in Corea del Sud, Giappone, Messico e Stati Uniti, dove si è disputata la fase finale. Ma il tifo e la passione si sono viste ben oltre gli spalti, almeno nei Paesi dove questo sport è popolare. L’exploit del piccolo Porto Rico – arrivato in finale dopo una cavalcata imbattuta – ha entusiasmato una nazione come e più che l’Islanda e il Galles all’Euro 2016. I “boricua” hanno fatto dello spirito di gruppo la chiave della loro forza. Ed hanno trascinato la gente, che ha imitato i suoi rappresentanti, tutti coi capelli dipinti sin dal debutto con un improbabile biondo ossigenato, al punto da esaurire le riserve di tintura per capelli in tutta l’isola.
E anche negli Usa, e non solo perché questa volta hanno vinto, dopo tre edizioni senza né pena né gloria. È che questa volta hanno messo in campo gran parte dei pezzi da novanta della Major League. Che ne hanno avuto bisogno, lo si è visto nel pool della prima fase, dove hanno faticato a battere la Colombia 3 a 2 e hanno perso 5 a 7 con la Repubblica Dominicana. Per la cronaca, la finale di mercoledì nel Dodger Stadium di Los Angeles si è concluso con il risultato: Stati Uniti 8 – Porto Rico 0.
Sarà pronto, allora, il baseball, per il salto di popolarità? Alcuni analogie col calcio di oggi fanno sperare gli appassionati. Prima fra tutti, la “globalizzazione” della Major League statunitense (ML), ormai pienissima oltre che di dominicani, venezuelani, portoricani e cubani, anche di messicani, canadesi, giapponesi e coreani, con presenze taiwanesi, giamaicane, di qualche brasiliano e di (pochissimi) europei (oltre a un olandese, il sanremese Alex Liddi ha giocato a Seattle e Chicago tra il 2008 e il 2013, e Chris Colabello ha preso il suo testimone tra il 2013 e il 2016, a Minnesota e Toronto).
Altro fattore è l’espansione in nuovi Paesi nelle Americhe e in Asia. Stenta ancora a decollare l’Europa, dove il baseball ha un certo spazio solo in Olanda e in Italia, e in Africa, col solo Sudafrica a disputare le qualificazioni al mondiale appena conclusosi. E proprio su questo scoglio si era infranto il sogno olimpico del baseball, prima disciplina esclusa dai Giochi dopo il polo e il tennis, che ne erano stati estromessi con l’avvento del professionismo. La causa del voto negativo del Cio per il baseball, invece, era stata proprio la mancanza di universalità, insieme all’assenza dei migliori. «Per stare nel programma olimpico devi essere uno sport universale e contare sui suoi migliori giocatori», ebbe a dire nel 2005 l’allora presidente Cio Jacques Rogge.
Il problema della competitività geograficamente poco distribuita – come successe al rugby e, molto prima, al calcio – da anni non si pone. Giappone, Repubblica Dominicana, Cuba, Porto Rico e Corea del Sud l’hanno già dimostrato. E in questo mondiale, Venezuela, Messico, Olanda, e persino la sorpresa di questa edizione – cioè Israele, primo nel suo pool e vincente su Cuba – e l’Italia hanno dimostrato di poter giocare alla pari con le grandi, quando sono “cariche”.
Vincente, inoltre, è stata l’idea di espandere l’interesse disputando la coppa in 10 sedi di 6 paesi (contando la fase eliminatoria 2016), Corea, Giappone, USA, Messico, Australia e Panama.
Altra analogia col calcio è stata quella dei calendari fittissimi, al punto che il mondiale 2021 dovrà prevedere una sospensione del campionato Usa. Finora, si giocava in epoca di “pre-season”, proprio come avviene per i mondiali Fifa. Come conseguenza, i tecnici si sono lamentati per lo scarsissimo tempo a disposizione per la preparazione tecnica delle squadre, composte ormai di giocatori occupatissimi nelle estenuanti leghe professionistiche estere più importanti.
Per ultimo, gli esperti spiegano con un “circolo virtuoso” l’aumento dell’interesse mediatico e dell’interesse degli sportivi un po’ in tutto il mondo, riassumibile con l’equazione “risultati=entusiasmo di pubblico=interesse degli sponsor tv e aumento dei nuovi praticanti=crescita della massa critica dei giocatori=miglioramento della qualità complessiva=aumento delle entrate economiche per la federazione ed export di talenti verso i campionati top=attrazione di tecnici e giocatori stranieri di livello=risultati. E il circolo si chiude e ricomincia.
Il caso di Porto Rico ne è la spiegazione empirica, dove in realtà il “batti e corri” è risorto dopo la prima ondata e la prima ricaduta. L’attuale manager Edwin Rodríguez attribuisce la felice realtà di oggi al successo nel mondiale 2013, nonostante la sconfitta in finale per 3 a 0 contro i dominicani.
«Si vedono più bambini giocare in strada – ha detto alla stampa -. Dieci-quindici anni fa, i ragazzi, tra cui c’erano buoni atleti, si dedicavano a altri sport, come il basket, la pallavolo e, più di recente, il calcio. In questo momento abbiamo tanti giocatori di talento che i bambini con potenziale talento, quando raggiungeranno il 15-16 anni, si dedicheranno di più al baseball».
In Italia, è successo così al rugby e -proporzioni fatte- con lo stesso baseball, che ha esportato 3 italiani negli Usa e uno in Corea e Giappone, e che ora spera che l’ottima performance degli azzurri al mondiale dia un’iniezione al movimento nostrano.
Il problema del poco tempo a disposizione per “fare squadra” è stato risolto dai portoricani con una sorta di ritiro precampionato virtuale, via whatsapp. Un gruppo creato nell’app dal leader Yadier Molina durante l’inverno ha permesso di iniziare ben prima del ritrovo fisico della squadra lo scambio di “segreti” circa i protagonisti delle nazionali rivali dei campionati in cui giocano, di consigli, opinioni e di tutto ciò che potesse servire a motivare il collettivo.
Euforici gli organizzatori statunitensi del mondiale. II presidente della ML, Rob Manfred, e il direttore esecutivo dell’associazione dei giocatori hanno sottolineato i successi di audience e di botteghino («oltre a cifre da record, abbiamo assistito all’espressione generalizzata di una passione poche volte riscontrata in passato»). Anche secondo loro, l’alto livello dimostrato dai campioni della scorsa edizione ha invogliato atleti top ad ingrossare le fila dei campioni disponibili per la nazionale. «La cosa più bella è stata che le partite sono state incredibili ed emozionanti», ha affermato Manfred, secondo il quale la chiave è stata «che i giocatori abbiano dimostrato di essere nella loro forma migliore, questo arricchito da una giusta dose di nazionalismo. È stato qualcosa di grande».