La favola di Amore e Psiche
È uno dei miti più ispirati e più diffusi del mondo antico, quello di Amore e Psiche. Una leggenda, o meglio una metafora illustrata e poetica sull’immortalità dell’amore, sulla giovinezza senza tramonto che prende spunto dal racconto nelle Metamorfosi di Apuleio del terzo secolo. Artisti e letterati di ogni tempo ne hanno tratto opere di altezza poetica non indifferente, in particolare nel Rinascimento, come negli affreschi di Raffaello nella loggia della Villa Farnesina a Roma, o di Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova. Il mito ha una grande fortuna nel Settecento neoclassico e nel romanticismo.
A Milano, a Palazzo Marino, il marmo di Antonio Canova e la tela di Francois Gérard proveniente dal Louvre parigino dicono insieme la forza e la bellezza del mito.
Canova scolpì due versioni del gruppo. In quella stante oggi in mostra, del 1797, i due giovani stanno insieme accarezzando la farfalla, in un’altra abbracciati dicono la bellezza dell’amore sensibile, mentre nella prima scultura viene tratteggiata la bellezza dell’amore spirituale.
Canova leviga i corpi con delicatezza luminosa, li tornisce rendendoli lucenti e fa misurata la sensualità con la grazia dei movimenti. Canova non descrive ma accenna. E questa è la sua grandezza. Mai troppo esplicito come è dei grandi artisti. Anche Gérard vede i due adolescenti in un atteggiamento affettuoso, ma più esplicito, quasi frenato a stento. La grazia delle movenze, la flessuosità dei corpi, la pelle rosata e fresca, e gli occhi colmi di attesa dicono tutto un mondo di tenerezze e di intimità che aspettano di venire alla luce. È la poesia dell’amore, la sua immortalità, vista da due differenti personalità: elegante e distaccata in Canova, ma musicalissima, dolce e ardente in Gérard.
Da visitare fino al 13 gennaio (catalogo Rubbettino editore)