La fatica della democrazia
Il Paese centroasiatico alle prese con il ritorno alla normalità. Si cerca di arrivare alle elezioni senza troppi traumi.
È un vecchio vizio del circo mediatico quello di infiammarsi improvvisamente per qualche sperduto teatro di conflitto che s’accende in qualche landa lontana per poi abbandonare senza scrupoli l’argomento, ripiegando su altri focolai di guerra, su altri scandali, su altri eventi. Così è stato della «rivoluzione di Pasqua» in Kirghizistan, che ha portato alla cacciata del presidente Bakiyev e alla presa del potere da parte di una coalizione estemporanea, sintetizzata da un quadrunvirato, che ha unito opposizione e frange della coalizione governativa precedente.
Che cosa è successo nel frattempo? L’ex presidente se n’è andato al di là della frontiera, in Kazakhstan, dietro le pressioni congiunte del premier russo Vladimir Putin e dell’amministrazione statunitense, senza dimenticare un apporto abbastanza utile dell’Unione europea: «Il suo abbandono – ci dice il console onorario d’Italia a Bishkek, Giorgio Fiacconi – può certamente aprire un nuovo dialogo tra le diverse componenti del Paese e spingere il Paese verso una nuova legittimazione e, lo si spera, una nuova stabilità». Certamente tale stabilità è nei voti dei russi e degli statunitensi, che sembrano entrambi avere assoluto bisogno del Kirghizistan come base per i loro aerei militari e per un buon posizionamento strategico nella regione.
Ma non tutto è risolto, nemmeno con l’annuncio di nuove elezioni per l’autunno. Il Paese appare infatti tramortito dagli ultimi avvenimenti, e stenta a tornare al lavoro: «Ma il Paese – continua Fiacconi – deve tornare al lavoro senza paure e senza false attese. Certamente la crisi economica è ancora attualissima, e bisogna che il Kirghizistan mantenga un profilo d’austerità, soprattutto nelle finanze pubbliche. Bisogna evitare così che i recenti avvenimenti facciano deragliare il treno del turismo. E, soprattutto, bisogna che si sviluppi la “Free Economic Zone” col suo potenziale di esportazione». Ma tutto ciò richiede stabilità, parola d’ordine dell’oggi chirghiso.