La farina solidale nel mulino di tutti

Un modello di solidarietà sociale dimostra che è possibile fare altra economia attraverso la partecipazione e l’uso intelligente delle risorse locali, creando occupazione e ricreando comunità in grado di autosostenersi
Mulino di tutti: farina solidale

Una filiera che sia davvero dal produttore al consumatore, consentendo da un lato di abbattere i costi senza pregiudicare né la qualità del prodotto né una retribuzione equa a chi lavora, e dall'altro di ricreare quel tessuto sociale e di comunità di cui molto spesso lamentiamo l'assenza: è questa l'idea alla base del «Patto della farina», primo patto di filiera produttiva solidale in Friuli Venezia Giulia. Già dal 2012 il Forum dei beni comuni della Regione lavora per la gestione partecipata del territorio e per un modello economico più sostenibile, arrivando un paio d'anni fa alla definizione di «distretti di economia solidale» all'interno dei quali applicare i modelli elaborati; e uno di questi modelli è appunto il «Patto per la farina», presentato il 28 aprile scorso a Gorizia, ma al quale il Forum lavora già da quando sono partiti i corsi di formazione per gli interessati un anno e mezzo fa.

 

L'idea, in sé, è semplice: gli agricoltori del territorio si impegnano a coltivare il grano secondo il metodo biologico – anche non certificato – e a rendicontare minuziosamente ogni parte del processo; i mugnai garantiscono di non miscelare questo grano con nessun altro e di stoccarlo correttamente; i panificatori o privati cittadini aderenti si impegnano a comprare un certo quantitativo annuo di farina, e – nel caso dei panifici – a contrassegnare chiaramente le pagnotte come «pane del patto» e ad utilizzare soltanto ingredienti naturali nell'impasto. Il tutto garantendo la tracciabilità del prodotto dalla spiga alla pagnotta – o al sacchetto di farina, nel caso di vendita diretta al mulino o in altri esercizi commerciali – secondo prezzi concordati: massimo 50 euro al quintale per il grano, 1,30 al kg per la farina e 3,50 euro al kg per il pane, mentre eventuali rivenditori non potranno praticare un rincaro superiore al 30 per cento. Dopo ciascun raccolto queste cifre vengono riviste, così da adeguarle all'andamento effettivo della stagione agricola. Impegno comune ad agricoltori, mugnai e panificatori è poi quello di consentire la visita ai propri campi o strutture agli altri sottoscrittori del patto, in un'ottica di trasparenza e di conoscenza reciproca.

 

Il patto coinvolge al momento tre agricoltori – di cui uno che coltiva solo frumenti di varietà antiche -, un panificatore, un mugnaio, una quarantina di nuclei familiari, alcune botteghe del commercio equosolidale e un agriturismo sociale delle province di Udine e Gorizia; «ma abbiamo il potenziale per arrivare a coprire le richieste di duecento nuclei familiari – afferma Enrico Tuzzi, il mugnaio aderente -, e sono certo che il numero aumenterà».  All'interno, tuttavia, di limiti «fisiologici» insiti nel modello, che «non è di tipo infinito. Nell'ottica del km zero e della tracciabilità diretta, è chiaro che non avrebbe senso produrre il pane a Gorizia per poi venderlo a Pordenone – osserva Tuzzi -: per cui cresceremo finché sarà possibile mantenere un controllo diretto sulla filiera e poi ci fermeremo, altrimenti si ritorna alle logiche commerciali».

 

Logiche commerciali che il patto sfida apertamente, dimostrando che la filiera corta – oltre a contenere i costi – è la risposta a molte questioni spinose che oggi investono la grande distribuzione: «Innanzitutto viene meno la speculazione – fa osservare Tuzzi -, perché se ognuno è certo di guadagnare il giusto grazie all'impegno ad acquistare un certo quantitativo di grano o farina, non c'è bisogno di un ricarico per coprire il rischio dell'invenduto; inoltre la tracciabilità e verificabilità diretta dell'origine del prodotto e dei metodi di coltivazione, insieme alla conoscenza personale tra i membri del patto, consente di aggirare le costose certificazioni di provenienza e di qualità». Il valore aggiunto più importante però, secondo il mugnaio, è quel «ritorno al tessuto sociale» in cui si crea un rapporto di fiducia tra i vari attori: che, osiamo dire, conta più di qualsiasi certificazione.

 

Altre filiere sono in corso di elaborazione, tra cui una mini filiera del tessile per la produzione di sacchi e sacchetti di stoffa per pane e farina: «Consentirebbe di risparmiare moltissima carta – puntualizza Tuzzi -, in un'ottica di sostenibilità ambientale che è un altro punto cardine del modello economico che il Forum propone».

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