La fantastica storia di Lucy
A parte l’esilarante cartone "L’incredibile storia di Winter il delfino 2", "Party girl" su un amore nella vecchiaia, e il solito "Bastardi in divisa" – il titolo dice tutto -, vale la pena di parlare di almeno tre film appena usciti nelle sale
Pasolini
Abel Ferrara tratteggia il “suo” Pasolini nell’ultimo giorno e nell'ultima notte di vita tra le luci notturne romanticamente tenebrose di una Roma surreale e bellissima – altro che Sorrentino -, scava pieghe sofferte sulla faccia dura di Willem Dafoe – perfetto in ogni senso – e, più che raccontare, sintetizza in brevi quadri l’ultima cena con Ninetto, il pranzo a casa con la madre, le ultime interviste, i lavori incompiuti (da Petrolio alla sceneggiatura di Porno-Tecno-kolossal con insistenze voyeristiche non richieste) e poi la notte ad Ostia, l’assassinio rapido e violento (per Ferrara non esiste un complotto, e forse è vero). Film rapido, dove un regista inquieto racconta un personaggio scomodo e inquietante con un amore sofferto. Non sarà un capolavoro, ma ci sono momenti (l’annuncio della morte del poeta alla madre) che restano impressi nella memoria, e la presenza di Ninetto Davoli dà al film un sentimento di affettuosa oniricità.
Lucy
Unico regista francese sceso a compromessi con Hollywood, Luc Besson ci regala una ennesima storia fantascientifica in cui una giovane donna – l’algida Scarlett Johansson – viene drogata con un materiale che moltiplica le sue facoltà intellettuali al cento per cento, così da travolgere chiunque – buoni e cattivi – nel suo percorso. Studiata da scienziati capeggiati da Morgan Freeman, la donna-miracolo diventerà onnipresente ovunque, come una sorta di divinità panteistica, a metà strada fra new age, cristologia, gnosi, in un miscela sincretistica che oggi va molto di moda. Ambizioso, strabiliante negli effetti visivi, dinamico e selvaggio, citazionista (da Jurassik Park a 2001, Odissea nello spazio e altro), il film è molto mentale, un thriller raffinato e surreale, ma emotivamente sfuggente.
Posh
Super-reclamizzato con la venuta a Roma di alcune delle giovani star idolatrate dalle fan, il film diretto da Lone Scherfig racconta degli studenti del Riot Club ad Oxfodr, covo di giovani ricchi arroganti e viziosi. Si finisce male, con il ferimento grave di un onesto ristoratore, ma il vero colpevole riesce a cavarsela perché – tutto il mondo è paese – anche in Inghilterra chi è ricco e ha i soldi trova avvocati compiacenti. Il film è gestito sulla misura delle giovani star a cui regala, con giusto dosaggio, primi piani calibrati che attirano le fan, ma il prodotto, per quanto possa e voglia essere scanzonato, è una satira – superficiale – sulla doppia morale di chi ha potere, cui un solo personaggio osa ribellarsi.