La fantasia della solidarietà
Buon giorno. Abbiamo un appuntamento con don Attilio…. Eccolo là in fondo. Stanno scaricando un camion. È quello con il camice verde. Ci avviciniamo, ma stentiamo a individuare il sacerdote fra i tre uomini al lavoro, tutti con il camice verde. Hanno la stessa taglia, la stessa lena nel lavoro, dimostrano la stessa età. È don Attilio stesso a toglierci dall’imbarazzo: Benvenuti. Mentre finiamo di scaricare, fatevi un giretto in compagnia di quella signora laggiù in fondo. Lei sa tutto. Siamo a Bazzano, ridente cittadina ai piedi dell’Appennino bolognese. Entrati in un grande capannone di tipo industriale che esternamente si confonde con gli altri della periferia, ci attende una sorpresa. È stipato fino all’inverosimile di cose vecchie: mobili, attrezzi, libri, lampadari: non manca nulla. Robe che, prese una per una, sembrano senza pregio, ma l’insieme sorprende: anzi, affascina. Pare di essere capitati sul set di un film di Fellini. Ogni oggetto sembra animarsi, acquistare senso, dignità, carattere. E il quadro è davvero bello: una contemplazione. Manca solo la musica di C? aikovskij per animare gli oggetti e invitarli a danzare, come nello Schiaccianoci. Ogni oggetto è giustapposto accanto ai suoi simili. I lampadari con i lampadari, le vecchie Phonola a valvole con le altre radio d’epoca; le zappe sono tutte accostate fra loro, come le vanghe, i rastrelli, le roncole, le lime, le sgorbie, le pialle. Lo stesso dicasi dei mobili come degli oggetti in ferro battuto; degli abiti come dei vecchi libri; come di tutto, insomma. C’è anche una grande pressa per imballare la carta da macero. E proprio qui ci attende la Signora Coriandolo. Così si presenta il personaggio che ci conduce in visita. Sembra uscita anche lei da una favola e ci spiega che quel nome le deriva da quella che era stata la sua prima mansione: produrre coriandoli con una apposita macchina, utilizzando i ritagli di carta, in modo che nulla, proprio nulla, andasse perduto. Intanto, mentre passiamo da un reparto all’altro, la Signora Coriandolo ci trasporta dentro un’altra fiaba, quella vera, che racconta di un gruppo di ragazzi della parrocchia che, insieme a un sacerdote, don Attilio appunto, reduci da un campo estivo, diedero vita a questa iniziativa: raccogliere e restituire un valore, anche piccolo, a ciò che comunemente non ne ha più, e viene gettato. Si sarebbe alleviato in questo modo il problema già gravoso della raccolta dei rifiuti ottenendone un modesto riconoscimento economico, e allo stesso tempo si sarebbero raggranellati un po’ di soldi per la erigenda casa di riposo per anziani. Era il 1° settembre del ’67 quando don Bruno, il parroco, fatta propria l’idea, inviava una circolare a tutti i bazzanesi informandoli che già esisteva e funzionava il Centro oggetti inutili. E invitava a non sciupare nulla, ma a fare opera di recupero per trasformare quelli in ricchezza. Ebbene, l’idea ha funzionato e funziona da quasi quarant’anni. Anzi ha progredito adeguandosi alle esigenze mutevoli della società. Forse oggi rende meno il riciclo della carta, ma è cresciuto l’interesse per l’antiquariato. E, fra le robe vecchie, alcune sono di pregio. Molte sono malconce, ma si possono restaurare. Fra i volontari che danno una mano ci sono falegnami, idraulici, fabbri. Ognuno mette in piedi un proprio piccolo laboratorio e il miracolo si compie. Il meglio di questi mobili e suppellettili viene da qualche tempo esposto e venduto in un vero negozio antiquario per la gioia di collezionisti e amatori. Ritroviamo finalmente don Attilio che ha finito di scaricare il camion e a fatica accondiscende a farsi riprendere per una istantanea. Si può leggere la nostra lunga vicenda – ci dice – anche con un occhio diverso. È ovvio che, a tasche vuote, non si fa nulla, ma è anche vero che a dare vita alla residenza anziani, più che i soldi, è stata una comunità che ha amato. Ha amato gli anziani che ha accolto in questi anni, pur senza conoscerli. Li ha amati con grande spirito di sacrificio, quasi sollecitati da questo nostro simbolo, il pellicano, dando qualcosa di sé stessi. Perché il segno distintivo, il cemento che tiene in piedi questa struttura, è l’amore. Don Attilio ci ha così svelato il segreto che sottende a tutto ciò che stiamo vedendo. Ma altre urgenze lo aspettano. Per parlarci della residenza per anziani, preferisce lasciare l’incombenza a chi la dirige. Sorge al centro del paese, quella stessa casa del Pellicano che ha motivato l’iniziativa della raccolta. Una realizzazione che si è proposta ad un tale livello di affidabilità da meritare il supporto delle istituzioni pubbliche dalle quali è riconosciuta a tutti gli effetti. Una vecchia casa che aveva conservato attorno il proprio parco, giusto al centro di Bazzano, ha fornito la prima base di accoglienza. Oggi l’edificio, recuperato alla sua originaria dignità, è decisamente bello, integrato nel contesto urbano; e lo vediamo affiancato ad un nuovo più vasto fabbricato costruito appositamente per ospitare anche anziani disabili o infermi. Ci accoglie e ci guida in visita la stessa direttrice, la signora Maria Teresa Passuti. Sorprende trovare in chi lavora qui la stessa dedizione, la stessa gioia che abbiamo letto sui volti di chi lavorava nel capannone dei re- cuperi. Si tratta per lo più di personale giovane e qualificato. Ci sono anche alcune suore indiane arrivate dal Kerala ed alcuni volontari anziani del posto, che si offrono per piccoli servizi e per fare compagnia ai ricoverati, cioè, mi si perdoni, agli ospiti. Perché tutti qui sono ospiti attesi e desiderati. A questo punto non stupisce più che la stessa gioia contagi anche loro, gli ospiti appunto, e che, per quanto lo rendono possibile le condizioni fisiche, traspaia dai volti e dai gesti affettuosi con cui ricambiano le attenzioni di cui sono fatti oggetto. Abbiamo assistito alla lezione quotidiana di ginnastica che impegna degenti e assistenti ad un faticoso esercizio fisico indispensabile, si può ben capire, per chi ha ridotto al minimo la propria attività motoria. Orbene, anche questo momento si tramuta in un gioco, una festa, un divertimento. Si potrebbe continuare e dire altrettanto del momento dei pasti; delle cure cui molti si devono sottoporre con l’assistenza di infermieri e medici, e ancora di ogni altro momento della giornata, anche di quelli difficili, quando il peso dell’età e della malattia, ancorché alleviato da tante attenzioni, rimane, e spesso trova il conforto più appropriato nella fede. Lo capiamo meglio quando, prima di partire, facciamo sosta nella cappella, illuminata fiocamente da una vetrata che propone il simbolo stesso dell’associazione: il mitico Pellicano nell’atto di nutrire del proprio sangue i piccoli. Qui davvero tutto ci sembra ritrovare il proprio senso. Come hanno ritrovato bellezza e dignità le cose recuperate con amore alla loro funzione, ritrovano bellezza, dignità e, per quanto possibile, gioia, oltreché uno scopo per vivere da anziani, persone spesso malate, ma certamente non più lasciate sole.