La famiglia vista in bianco e nero

Il rapporto fra modelli familiari di ieri e di oggi, analizzato per il primo appuntamento con Labirinti familiari , il libro di Città Nuova che verrà presentato a Loppiano Lab
Labirinti familiari

La nostalgia per i modelli familiari solidi del passato e gli annessi sacrifici a cui, forse, non siamo più abituati. Questi sono solo due degli esempi che si potrebbero fare in caso di "raffronto aperto" tra le dimiche familiari di ieri e di oggi. 

Il patrimonio passato – che ha in sé una serie di ineguagliabili ricchezze –, può però, anche diventare un modello ingombrante, laddove ponga le sue obiezioni e i suoi insegnamenti atemporali.  Ce lo spiegano con il libro edito da Città Nuova due psicologhe: Daniela Maria Augello e Antonella Spanò.  Labirinti familiari   – questo il titolo del libro in oggetto e che ci accompagnerà per tutto il mese di settembre –, avrà un spazio dedicato sabato 17 all’interno di Loppiano Lab  – l’expo di 40 aziende in rete che aprirà i battenti il 15 settebre e che durerà tre giorni  –.  

 

«"Guarda che cosa ho trovato in mezzo a un libro! Un vecchio ritratto della famiglia di mio padre. È stupendo! Dovremmo incorniciarlo", dice Alessandra guardando la foto sbiadita dei nonni. Mario s’incuriosisce e le si avvicina. Guardando il ritratto commenta: "Peccato, è un po’ sgualcita. Però è bella. Guardali come sono seri". Alessandra sorridendo aggiunge: "Sembra quasi che vogliano fissare sulla foto la solennità dell’attimo. Certo, di foto a quei tempi non se ne facevano tante come adesso!". "Questi al centro chi sono?", chiede Mario curioso.  "Al centro, quelli seduti, sono i nonni; a destra mia zia Sara, e in braccio ha mio padre che era piccolissimo. Qui a sinistra zio Giacinto con i calzoni corti e qui, seduta a terra, mia zia Flavia. In braccio alla nonna c’è zia Angelina, ti ricordi? Ci ha lasciato qualche anno fa. Era la più piccola di tutti i figli". Alessandra indica con il dito ogni personaggio. "Com’ero affezionata ai nonni. Cinquant’anni e passa di matrimonio! Chi ci arriva più?!".

 

«Alessandra ritrova una vecchia foto che le rievoca i bei tempi andati. Anche nei nostri vecchi album di famiglia ci sarà certamente un ritratto: color seppia, un po’ sgualcito, magari riattaccato con il nastro adesivo. I soggetti, dallo sguardo a volte impettito, che fissano la solennità di quella foto di famiglia, sono i nostri bisnonni o nonni o, per i più attempati, i genitori.

 

«I capostipiti al centro, magari seduti, e via via gli altri componenti del nucleo familiare che si snodano attorno, secondo le altezze. Probabilmente indossano i vestiti migliori che avevano. Sarà per effetto dei colori indefiniti, delle pose inflessibili, o per il numero dei componenti, ma guardando un vecchio ritratto di famiglia si prova quasi soggezione davanti a quella stabilità, a quell’ordine. I vecchi ritratti sono un’istantanea indicativa delle famiglie di ieri, così diverse rispetto alle realtà con cui oggi ci confrontiamo. Pur considerando le differenze, determinate da territori di provenienza e cultura, la famiglia patriarcale è stata una realtà che ha caratterizzato la società fino agli anni ’40-’50.

 

«Se ci limitiamo a fare una riflessione sulla famiglia di ieri a partire da due semplici variabili, lo spazio e il tempo, vedremo come, al confronto con l’organizzazione della famiglia di oggi, ci sia un’enorme differenza. La casa e gli orari erano scanditi al ritmo dei riti familiari, come ad esempio consumare insieme i pasti. Anche quando si costituiva un nuovo nucleo familiare, esso “dipendeva” dalle famiglie di origine. Gli spazi e i tempi in comune erano molti di più, e non solo per esigenze economiche, ma anche per il modo in cui erano percepiti culturalmente quei tempi e quegli spazi.

 

«I ruoli erano definiti e chiari: l’uomo lavorava, la donna si prendeva cura della casa e lì trascorreva la sua giornata. Nelle famiglie, più numerose, si era abituati, o forse dovremmo dire “costretti”, alla condivisione, poiché il livello “fraterno” era una realtà più ingombrante. Il distacco dai genitori era mantenuto dal ruolo educativo, ruolo che infatti veniva assunto anche dai “nonni”, che avevano voce in capitolo anche nelle famiglie acquisite dei figli. E così si obbediva allo sguardo, perché non era necessario comprendere le motivazioni di un rimprovero e condividerlo. Si faceva così e basta. Ma qual era lo spazio del riconoscimento e del bisogno dell’individualità della persona? Di cosa si parlava?

 

«Capita a tutti di fare riferimento ai bei tempi andati, descrivendoli come migliori rispetto a oggi. Possiamo addebitare al progresso, all’emancipazione della donna, alle aumentate possibilità di scambio e di condivisione tra le persone, la responsabilità del cambiamento della struttura della famiglia? «Ai miei tempi c’era più rispetto», «Ai miei tempi…». La nuova generazione non sembra rispettare la vecchia. Ma la cosiddetta “vecchia” come si pone rispetto al nuovo? La differenza intergenerazionale è una realtà alla quale non riusciamo ad abituarci e che genera conflitti. Pensiamo che le nuove generazioni siano peggiori e non riusciamo a vedere le risorse insite nel nuovo modo di vedere e vivere la vita.

 

«Dobbiamo pensare che l’acquisizione dei diritti della donna o la migliorata qualità di vita siano state apportatrici di un cambiamento negativo? In Storia di una capinera di G. Verga e in Romeo e Giulietta di W. Shakespeare troviamo due personaggi femminili: Maria e Giulietta. Sono l’emblema di come, in passato, le giovani donne erano costrette dalle famiglie a intraprendere una vita monacale o come erano costrette al matrimonio “combinato”. La decisione dei genitori non era contestabile, perché prevaleva il bene della famiglia su quello dell’individuo.

 

«La famiglia doveva perpetuarsi, quindi il patrimonio non poteva essere disperso. Solo i primogeniti, generalmente, contraevano matrimonio e lo scopo di tale unione era aumentare le ricchezze della famiglia. L’individuo non aveva tempo di esistere, sopraffatto dal “noi” espresso dalla famiglia.Tanto Maria quanto Giulietta manifestano i disagi di un Io che si sente soffocato. Entrambe si innamorano, e mentre la prima, pur di non impazzire, lascia che il “noi” prevalga, scegliendo di sottomettersi al destino che le è stato imposto, la seconda tenta di opporvisi con effetti nefasti!

 

«L’Io trova spazio in un mondo in cui i bisogni aumentano e aumenta la capacità dell’ambiente di soddisfarli. In momenti di carestia l’Io cede il passo al Noi, perché soltanto nella generosità del perdersi nel Noi è possibile sopravvivere, insieme.

Se ogni giorno a pranzo ci trovassimo di fronte a una tavola divinamente imbandita come ci comporteremmo? Questa è la realtà di oggi. Non viviamo in un periodo di privazione o di guerra, situazioni che portano in sé alla scelta obbligata di vivere nell’essenzialità. Viviamo nel benessere. Vorremmo lamentarcene? Eppure ci viene spontaneo pensare a com’era bello quando non avevamo tutto a disposizione e c’era ancora lo spazio per desiderare…

 

«Ma la nostalgia di questo modello ci impedisce di guardare alla bellezza del nuovo. Pensiamo ad esempio alla famiglia patriarcale di ieri – in cui il padre era il solo a lavorare e la cura dei figli era affidata quasi esclusivamente alla madre – e alla famiglia di oggi – in cui il padre ha un ruolo attivo nella cura e nell’accudimento dei figli. Ve lo immaginate vostro nonno che vi cambia il pannolino o che stira la biancheria? La sofferenza può nascere dalla paura di quello che sarà, dalla sfiducia nelle relazioni, dal disorientamento rispetto a un modello sociale che ci fa sentire fragili e che non dà certezze. Allora tornare con la memoria a un modello più rigido diventa più confortante, perché è più facile sapere a priori come comportarsi, mentre è infinitamente più complicato districarsi all’interno di un percorso che propone vari modelli.

 

«Bisogna scegliere, assumersi la responsabilità delle proprie decisioni e portarle avanti con convinzione. La storia delle nostre famiglie è importante e va valorizzata e rispettata, ma non può essere assunta come modello perfetto cui fare riferimento, altrimenti rischiamo di guardare alla realtà con occhiali che ormai non vanno più bene e così vedremmo in maniera sfuocata e confusa».

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