La famiglia palestra di relazioni
Quello che stiamo vivendo è un tempo di grandi opportunità: la vera sfida da cogliere è scoprire insieme come la Chiesa, scommettendo sulla famiglia, possa ridare ali alla società. C’è una verità che accompagna ogni persona sin dalla nascita ed è la chiamata a entrare nel flusso dell’amore proprio dell’essere umano, crescendo in corpo e anima. Un bambino che viene alla luce porta in sé un segno indelebile nella sua carne: quello di non essersi dato la vita da se stesso, ma di averla ricevuta in dono nascendo da un uomo e una donna che, divenendo una sola carne (cf. Mt 19, 5), con una certa consapevolezza, si sono resi «cooperatori dell’amore di Dio creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla». È l’amore sponsale il grembo dove la vita può essere accolta in modo pieno e crescere gradualmente nella palestra di relazioni umane che è la famiglia.
Così la differenza sessuale dei propri genitori sarà percepita come ricchezza e accompagnerà lo sviluppo del figlio in ogni sua facoltà. Le carezze della madre aiuteranno a introdurre nelle cure materne della Chiesa e le braccia forti del padre inviteranno a esplorare la fortezza di Dio. […]
È evidente come i primi anni di sviluppo del bambino siano particolarmente delicati perché quel piccolo essere spirituale cresca in corpo e anima. In tal senso nella famiglia, «che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede». Questo è ancor più vero quando, quel figlio che non è stato generato biologicamente, riceve quotidianamente la vita in dono dai genitori affidatari o adottivi: non solo la vita naturale ma, nel dono della fede, la vita eterna. Così, crescendo, quel ragazzo potrà perdonare un suo coetaneo da cui ha subìto un’ingiustizia perché avrà visto fare questo dai propri genitori che, a loro volta, avranno vissuto nella propria carne l’esperienza di scoprirsi perdonati dal Padre celeste. Ecco allora che si spalanca a noi la famiglia come palestra primaria di relazioni sociali, quel luogo in cui si può passare, come dice papa Francesco, dalla cultura dello scarto alla cultura dell’incontro.
Con il collirio della fede si tratta di tornare al principio (cf. Mt 19, 5), alla coppia sponsale che ha generato l’umanità e a quel flusso di amore che ha la Trinità come sorgente e la famiglia come spazio diffusore. Nello sguardo del Vangelo è il figliol prodigo, divenuto padre, che restituisce ai suoi figli l’abbraccio che ha ricevuto (cf. Lc 15, 20).
La fatica di accompagnare nel “parto educativo” sarà ancora più preziosa quando quel ragazzo, crescendo, entrerà nel periodo dell’adolescenza e dovrà superare i marosi e le tensioni alterne dei propri scombussolamenti emotivi. In questa fase sarà ancora più necessario illuminare la verità dell’amore umano, l’unità tra corpo e anima, la caratterizzazione della differenza sessuale. Occorrerà poi offrire una bussola per orientarsi nel labirinto dei nuovi mezzi digitali ed essere messi in grado di esplorare il mondo degli affetti, delle vere amicizie, dei primi amori. Per accompagnare nella scoperta della propria vocazione sarà decisivo il sostegno discreto di genitori che lasciano spiccare il volo.
Divenire adulti vuol dire entrare in questa dinamica del dono, che è costitutiva dell’essere umano in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio. Oggi però questa immagine appare distorta e questo specchio si è come infranto. Ecco allora l’importanza dell’associazionismo familiare e di coppie di sposi che nella comunità cristiana e nella società ricompongano, come in un mosaico, nella carne della propria vita, questa immagine. In particolare la scelta di aprirsi all’accoglienza della vita non è relegata a supereroi, ma a un uomo e a una donna che con uno sguardo sapiente hanno scoperto la logica evangelica del centuplo quaggiù per chi fa dono della propria esistenza (cf. Mt 19, 29).
Questa apertura la si può vivere solo se quella piccola chiesa domestica, come una fiammella, si è legata al grande fuoco della comunità cristiana e quindi a una rete di altri coniugi. Spesso è proprio l’isolamento che inibisce il desiderio di allargare il proprio cuore ai figli di Dio che non hanno il calore di una famiglia.
C’è una chiamata al dono che è scritta nel corpo di ogni uomo e ogni donna; ma in questo contesto culturale tale chiamata è come seppellita nello stridio di tante voci vuote e di tante paure che soffocano il dono di sé. È proprio vedere altre coppie che con gioia hanno spalancato la loro casa e la loro stessa vita ai figli di Dio senza famiglia che fa risuonare questa nostalgia del principio e libera dalla paura di donarsi senza riserve. Ecco perché è necessario approfondire il significato del corpo e leggere in profondità la chiamata ad amare che il corpo esprime.
Paolo Gentili, “Il giardino del principio. Cinque vie per un nuovo umanesimo” , pp. 118, €10,00 (Città Nuova, 2015)