La famiglia multicolore

Uno spicchio d’Italia che non ti aspetti è quello descritto da Avvenire del 24 febbraio scorso, che dedica alle famiglie immigrate un dossier di 15 pagine, riservando ai gruppi famigliari più consistenti – cinesi, filippini, sudamericani e nordafricani – un servizio particolare corredato da simpatiche foto. Le coppie straniere presenti in Italia rappresentano il 48,7 per cento degli immigrati regolari: centinaia di migliaia di famiglie che portano nel nostro paese valori, usi e costumi diversi dai nostri, e che a loro volta assumono i nostri. Scrive Graziella Favaro, pedagogista che opera al “Centro Come” della Caritas di Milano: “I cinesi sentono intensamente l’appartenenza al clan familiare, a cui si deve obbedienza e da cui si trae sostegno. I sudamericani vivono molto il legame con i famialiari rimasti nella madrepatria e con lo stesso paese d’origine. Mi sembra che il tratto peculiare delle famiglie filippine sia il forte investimento che fanno su un percorso di promozione economica, con l’obiettivo della riuscita attraverso il lavoro”. Da vu’ cumprà a dottore Da clandestino penetrato in Italia dalla Francia, a immigrato con regolare permesso di soggiorno, da manovale generico ad operaio specializzato ed ora dottore in Economia e commercio, ora capofamiglia con moglie e figlio sistemati in un decoroso appartamento: questa la vicenda di Moustapha Tounkara, un senegalese immigrato, che si è laureato facendo l’operaio in un’azienda di Lonigo, nel Vicentino. In patria si era iscritto con profitto alla facoltà di veterinaria. Ma la morte del padre, che lo lascia con sua madre e cinque sorelle, interrompono i suoi progetti. Decide di partire. Dapprima in Francia, con biglietto turistico, ed infine in Italia. A Foggia per la raccolta stagionale del pomodoro, trova un angelo custode, anzi più di uno, e tra questi la signora Lucia, che con suo marito gli aprono la porta di casa e lo aiutano a trovare lavoro nel nord. In un primo tempo lontano da Lonigo, ma ogni mattina la signora si alza alle cinque per accompagnarlo in fabbrica. “Bravo Mousthapha!”, scrivono in un murale improvvisato i suoi compagni italiani, sorpresi per questa rapida carriera. E contenti che abbia deciso di continuare a fare l’operaio con loro. Anche se resta ancora un sogno nel cassetto: portare in Africa, nel suo Senegal, il modello d’impresa che ha appreso in Italia, non solo tra i banchi. I filippini in Italia Qualche flassh sulla comunità filippina in Italia, che è pure la più consistente tra le presenze cattoliche tra gli immigrati. Ed è anche una delle prime, perché assieme alle capoverdiane, le colf filippine hanno fatto comparsa fin dagli anni Settanta. Un’immigrazione dunque prevalentemente femminile, dato che ancora oggi i ricongiungimenti familiari sono relativamente scarsi: si calcola che la presenza effettiva dei filippini in Italia raggiunga le centomila unità, di cui almeno trentamila nella capitale. Dal punto di vista religioso, la comunità cattolica filippina è la meglio organizzata in Italia: sono infatti una quarantina i centri pastorali sparsi in altrettante parrocchie ed istituti religiosi, che fanno capo alla basilica di Santa Pudenziana: una vera e propria “parrocchia”. Il salesiano Remo Bati, filippino purosangue, ne è il parroco a pari titolo degli altri parroci, e coordinatore nazionale dei Centri filippini sparsi in Italia. E doveroso poi sottolineare che in fatto di problemi con la giustizia, dei circa centomila filippini presenti tra noi, soltanto 32 nel Duemila erano in carcere: meno dello 0,3 per cento. Forse per questo insieme di dati, cui se ne potrebbero aggiungere altri, il “filippino” è un tipo molto simpatico agli italiani.

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